Ciclismo: salvate (salviamo..) il soldato Pozzovivo- di Teo Parini

A quarantuno anni, mezzo incerottato e in mezzo a diavoli che potrebbero essere quasi figli suoi, per quel che vale e cioè poco, chiediamo a gran voce che qualche patron lo metta sotto contratto

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Nel caso si facesse avanti con in mano una proposta contrattuale una squadra Professional, quelle di seconda fascia immediatamente sotto al gotha costituito dalle WorldTour già con tutti gli effettivi sotto contratto, per Domenico Pozzovivo si spalancherebbero le porte del Giro d’Italia numero 18 – sì, diciotto- affiancando in testa a questa speciale classifica all time Wladimiro Panizza. Un’attestazione che certificherebbe a suon di record la sua longevità ciclistica peraltro già sotto gli occhi di tutti. Non è un raccomandato, il Pozzo, quindi se da un ventennio l’ingaggio puntualmente bussa alla sua porta è perché, nonostante un rapporto conflittuale con la sorte che a chiamarlo mortificante lo si sottostima, è corridore vero, serio e affidabile come una vecchia Panda che mai si sarebbe sognata di lasciarti a piedi.
Non è mai stato un grande campione ma, cadute a parte, Pozzovivo è uno di quelli che quando infuria la battaglia in salita lui immancabilmente risponde presente. Sempre, anche quando ha in corpo più bulloni che ossa, che lo costringono ad una postura in sella ai limiti dei principi che regolano l’equilibrio dei corpi e che non si capisce, da quanto brutta a vedersi e assimetrica, come possa sprigionare cotanto vigore. Ciò, sommato al fatto che la corporatura minuta lo rende scalatore vecchia maniera, quindi baricentro basso, massa grassa con percentuali da prefisso telefonico e rapporto infinitamente lungo a scandire il passo quando la strada si imbizzarrisce sotto le pedivelle, frangente nel quale fila come un treno. L’obiettivo Giro non è l’unico.

Due, infatti, i desiderata di Domenico per questa sua possibile ultima stagione da Pro che si spera lo collochi in un team all’altezza: la kermesse italiana, come gia detto, e nel contempo una laurea da chiudere. Si, perché il Pozzo ha sempre pensato che macinare chilometri in sella alla bicicletta, e basta, lo avrebbe fatto godere solo a metà, nella convinzione sacrosanta che anche la mente sia sempre qualcosa da tenere allenata. Pertanto, al quasi-Dottore tascabile che viene da Policoro serve urgentemente un Team che si faccia avanti, ora. Perché, tempo un mese, si comincia a fare sul serio, tra Strade bianche e Sanremo e con il Giro nemmeno troppo più in là da preparare. Con la meticolosità che, per un quarantenne come lui, non è la stessa cosa di un giovanotto.
A proposito, disse un tempo Gianni Faresin, un altro che con serietà certosina ha allungato a dismisura la sua carriera, che passati i trent’anni occorre aggiungere sempre più intensità nella preparazione alla stagione che verrà, ogni anno che passa di più, per riconfermare i valori dei test biomeccanici fissati nei dodici mesi precedenti. Lo sa bene, Pozzo, che, non a caso, morde il freno per saltare in sella. Insomma, fatevi avanti che Pozzo scalpita. Il che, giusto dirlo, non sarebbe un’opera di carità applicata al ciclismo e gentilmente concessa dalla filantropia del magnate di turno, si tratterebbe di mettere nella propria squadra un capitano vero per la corsa rosa; uno capace di dare il meglio di sé quando le telecamere internazionali aprono la diretta, per tutta la gioia degli sponsor. Con la sua maglia attorniata dai campioni che hanno ambizioni di gloria intagliate nei cromosomi. Morale, un investimento a capitale garantito.

Nato nel novembre del 1982 e professionista dal 2005, Pozzovivo per la bellezza di sette volte ha chiuso il Giro in top 10 e quando non ci è riuscito è perché la sfiga ha storicamente trovato godimento nell’accanirsi su quella sagoma sgraziata perché violentata dai chirurghi. Chiamati, questi ultimi, a rimettere in ordine ogni volta il suo corpo a mo’ di puzzle da duecento pezzi. Sicuramente, Domenico alleati di pedalare è riconoscibile tra mille: in sella, infatti, il suo corpo pende tutto da una parte da sembrare una minuta riproduzione della torre di Pisa, tra gambe di lunghezza e muscolatura diversa, pose posturali compensative e una messa in sella che, giusto ammetterlo, anche nei giorni belli non è mai stata quella di un Gianni Bugno. Il treno migliore della sua carriera si ferma in stazione nel 2018, quando fino alla tappa numero diciotto del Giro rimane terzo in classifica, prima di pagare a carissimo prezzo la giornataccia di Bardonecchia che lo costringe a chiudere le tre settimane di gara in una comunque prestigiosa quinta piazza nonché primo degli italiani. Ventunesimo, invece, è il piazzamento ottenuto ad Innsbruck, sede dei mondiali dello stesso 2018, gli unici da lui disputati.

E se di incidenti, come detto, ne ha dovuti incassare molti, quello in cui incappa il 12 agosto del 2019, con una macchina che fuoriuscendo dalla corsia legittima lo mette sotto, rischia di avere risvolti tragici. Braccio in mille pezzi, gamba e costole fratturate, mani pure. Per salvare il braccio, i dottori lo sottopongo a ben nove interventi chirurgici che per fortuna lasciano in dote cicatrici profonde e poco alto. Se la tecnologia medica cresce, la tempra per rialzarsi da ogni avversità o c’è o non c’è. Al Giro d’Italia di due anni fa, Pozzovivo chiude ottavo e mette a segno l’ennesimo record: è lui il più anziano a riuscire a chiudere nei primi dieci dai tempi pionieristici di Giovanni Rossignoli, un’era geologica fa in un ciclismo assai più competitivo di allora. Con in bacheca una tappa al Giro e qualcuna di più al fu Giro del Trentino, il suo status è quello che può essere definito di ‘gregariano’, mezzo gregario e mezzo capitano. Non si capisce come si possa non voler bene ad un uomo il cui rispetto per la bici transita su quote poco esplorate. Il minimo che si possa fare, a nostro avviso, è auspicare di rivederlo con il numero appiccicato sulla schiena al via del nostro Giro che potrebbe chiudere ancora una volta da primo italiano.

A quarantuno anni, mezzo incerottato e in mezzo a diavoli che potrebbero essere quasi figli suoi, per quel che vale e cioè poco, chiediamo a gran voce che qualche patron lo metta sotto contratto per fare sì che, un domani, possa smettere per una legittima e ragionata decisione e non per una triste mancanza di opportunità. Che, per quanto ha saputo dare al ciclismo, sarebbe davvero la riconoscenza che merita un ragazzo sul quale calzano a pennellano due adagi legati al vino. Quello della botte piccola che finisce per ospitare sempre il vino buono e, soprattutto, quello che utilizza la legge di Chronos, il signore del tempo, per giustificare un progresso qualitativo senza soluzione di continuità. Morale: Pozzo, alla stregua del vino, più invecchia e più migliora. Coriaceo come l’aglianico della sua terra, un nettare che è ovunque famoso per la sua straordinaria longevità. Guarda, a volte, il caso.

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