MAGENTA Mama*, toglimi di dosso questo distintivo/non posso più usarlo/si sta facendo buio, troppo buio per vedere/ è come se stessi bussando alle porte del paradiso
Bussando alle porte del paradiso
Bussando alle porte del paradiso
Bussando alle porte del paradiso
Bussando alle porte del paradiso
Mama, metti le mie pistole per terra/non posso più sparare dei colpi/quella fredda nuvola nera sta scendendo/è come se stessi bussando alle porte del paradiso
Sul sagrato e il piazzale della basilica di san Martino, in un caldo pomeriggio di inizio settembre, risuonano le note di una delle tante perle di Bob Dylan, nella versione (universalmente nota) dei Guns ‘n Roses.
Bussando alle porte del paradiso mentre si celebrano le esequie funebri di Stefano Piscopo, classe 1966, morto davvero tanto, troppo presto dopo una vita intensa e ricca (di incontri, amicizie, del suo amato lavoro). E infatti ci sono gli chef in divisa d’ordinanza, tanti colleghi, tante persone che hanno condiviso con lui la lunga, impetuosa carriera della sua azienda, del suo indimenticato ristorante di Corbetta (La Corte del Re), del suo modo elegante ma non paludato di fare catering.
Basilica di san Martino colma di persone, nelle letture risuona insistente l’invito- appartentemente insensato, in un momento del genere- alla letizia, alla gioia, alla speraza.
“Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti”, recita la lettura.
Anche don Giuseppe Marinoni, dopo la lettura del Vangelo che ci parla della morte e risurrezione di Cristo, parla di speranza. E’ la Fede nella vita dopo la morte, ma anche- più umanamente- la consapevolezza che una vita spesa col sorriso, la gioia, la passione, ossia la vita di Stefano, resiste al tempo. Rappresenta un ricordo inestinguibile, una fiamma che non si spegne.
Ci sovvengono le parole, splendide e pienamente coerenti con un giorno come oggi, che l’arcivescovo di Milano ha usato nell’omelia funebre di Silvio Berlusconi:
“Vivere e desiderare una vita piena. Vivere e desiderare che la vita sia buona, bella per sé e per le persone care. Vivere e intendere la vita come una occasione per mettere a frutto i talenti ricevuti. Vivere e accettare le sfide della vita. Vivere e attraversare i momenti difficili della vita. Vivere e resistere e non lasciarsi abbattere dalle sconfitte e credere che c’è sempre una speranza di vittoria, di riscatto, di vita. Vivere e desiderare una vita che non finisce e avere coraggio e avere fiducia e credere che ci sia sempre una via d’uscita anche dalla valle più oscura. Vivere e non sottrarsi alle sfide, ai contrasti, agli insulti, alle critiche, e continuare a sorridere, a sfidare, a contrastare, a ridere degli insulti. Vivere e sentire le forze esaurirsi, vivere e soffrire il declino e continuare a sorridere, a provare, a tentare una via per vivere ancora. Ecco che cosa si può dire di un uomo: un desiderio di vita, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento”.
Desiderio di vita, d’altro canto, ci sembra una perfetta summa dei 56, intensissimi anche se pochi, anni vissuti da Stefano su questa terra.
All’uscita del feretro, tra molte lacrime e occhi umidi, ancora musica: Thunderstruck, con gli inconfondibili riff degli Ac Dc.
Ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Stefano? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento. Come avrebbe detto l’Arcivescovo Mario Delpini, perché se è vero che il ricordo delle persone si consuma quasi sempre col passare e l’usura del tempo, ci sono vite che nel cuore di chi rimane durano molto di più. Stefano appartiene senza dubbio a quella ristrettissima schiera.
A buon rivederci, ma soprattutto a Dio, immenso maitre di sala.
F.P.