― pubblicità ―

Dall'archivio:

19 maggio 1987: chiedimi chi era Almerigo Grilz…

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

 

Il 19 maggio del 1987 moriva in Mozambizo Almerigo Grilz, primo giornalista inviato di guerra a cadere dopo il 1945. Cresciuto a Trieste ‘dalla parte sbagliata’, secondo alcuni, assieme agli amici Fausto Biloslavo e Gian Micalessin (divenuti tra i più importanti inviati di guerra italiani), la memoria di Almerigo è stata per lunghi anni completamente rimossa.

Per omaggiarlo, pubblichiamo un suo (bel) ricordo scritto per il sito sconfinare.net

di Michele Bonetti*
“Vi racconto la morte di un cinereporter, di uno di quei giornalisti che, con la macchina da presa e la telecamera, passano settimane nei posti più maledetti del mondo raccogliendo immagini di guerre lontane, di guerre dimenticate. Si chiamava Almerigo Grilz, era di Trieste e aveva 34 anni.”
Paolo Frajese al TG1, giugno 1987
La Bora soffia, impetuosa e gelida, sferzando il Molo. Scende velocissima dall’altopiano del Carso, si tuffa giù e, in un susseguirsi di raffiche, bussa imperiosa alle porte dell’Adriatico. Trieste le spalanca l’ingresso, e lei entra con furia, mentre il mare ribolle annunciando il suo arrivo. Le sue origini sono nelle pianure dell’Europa centrale, il suo alito fresco, arriva ad increspare le acque del Mediterraneo: a quante ragazze scompiglierà la chioma, quanti visi accarezzerà, via via più dolce, prima di esaurire la sua corsa?
A Trieste, quando c’è Bora, spesso si ha voglia di rimanere chiusi in casa, al caldo. Se però si esce, spinti dalla curiosità o dalle necessità quotidiane, e ci si ritrova a percorrere le Rive, e si inspira dal naso quell’aria fredda e pura, allora sotto al cappotto invernale si fa strada un sentimento. La Signora del Golfo, che quando è in giornata spazza via dal cielo ogni nuvola, spazza via dalla testa anche i pensieri incombenti e spalanca davanti agli occhi un orizzonte terso, nitido, facendo nascere insopprimibile il desiderio di seguirla, lo slancio di partire.

Almerigo Grilz era un giornalista triestino, inviato di guerra freelance. Chi sa quante volte avrà percorso queste vie che ora io attraverso da forestiero, in giornate come questa. Mi piace pensare che sia stata proprio la Bora, ad un certo punto della sua vita, a invitarlo a lasciare la città amata per dedicarsi al mestiere del reporter. D’altronde, come scrivono Pietro Comelli e Andrea Vezzà nel recente libro “I mondi di Almerigo” (Spazio InAttuale Editore, 2017): “La sua Trieste e un contesto familiare dalle tradizioni marinare gli avevano trasmesso il mito del viaggio, insito in questa città di mare sferzata dalla Bora”.

Gian Micalessin, collega triestino di Almerigo Grilz (Source: Wikimedia)

Un refolo di quella Bora è arrivato fino in Mozambico, e lì si è fermato: Almerigo infatti trovò la morte nel paese africano il 19 maggio del 1987, a 34 anni, primo giornalista italiano a cadere su un fronte di guerra dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Fu colpito alla testa da un proiettile mentre stava filmando un combattimento tra i guerriglieri anticomunisti della RENAMO e i militari fedeli al governo filosovietico del FRELIMO, nei pressi della città di Caia. Per il reporter triestino fu l’ultima, tragica tappa di una carriera breve, ma intensissima, iniziata nel 1982 e scandita da straordinari reportage in tutti i teatri di guerra “dimenticati”: Libano, Angola, Birmania, Cambogia, Filippine, Etiopia, oltre all’Iran, all’Irlanda del Nord dell’IRA e, appunto, al Mozambico. Proprio qui era stato, in coppia col giovane collega inglese Michael Cecil, il primo a documentare dal punto di vista dei ribelli la feroce guerra civile che scuoteva il paese. I due reporter marciavano per settimane fianco a fianco coi miliziani, condividendone la vita quotidiana e i rischi in una guerra che, mentre documentavano, vivevano in prima persona: un modo di fare giornalismo temerario e avventuroso, che era anche l’unico modo per restituire la realtà cruda di quei conflitti spesso lontani dai riflettori mediatici occidentali.

La notizia della morte di Almerigo giunse in Europa dopo diversi giorni, quando finalmente Cecil riuscì a ripartire dal paese in guerra. Sul Sunday Times del 21 giugno uscì un articolo dal titolo “How death came while filming a dawn attack”, a firma dello stesso Cecil: “Almerigo Grilz, an Italian reporter of bush wars who has worked for the Sunday Times, was killed two weeks ago while filming a battle in Mozambique.” Il suo era infatti un nome ben noto nell’ambiente del giornalismo, nazionale e internazionale: nel 1983 aveva fondato, insieme agli amici e colleghi triestini Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, l’Albatross Press Agency che, sull’onda del successo del primo reportage girato al seguito dei mujaheddin afghani, ben presto spiccò il volo. I loro servizi venivano commissionati da importanti emittenti in tutto il mondo, come le americane Cbs e Nbc, la televisione di stato tedesca, France 2, oltre al già citato Sunday Times: nell’ambiente, come ricorda Biloslavo, i tre erano noti come “the crazy italians”. Nel frattempo, anche in patria iniziarono a farsi notare: i loro reportage comparirono sul TG1 e Almerigo scrisse per Panorama, Avvenire, il Sabato, il Messaggero e altre importanti testate.

Eppure, nonostante la notorietà acquisita, in quel maggio 1987 sono pochi, in Italia, a celebrarne il ricordo. Paolo Frajese, conduttore del TG1, è tra questi; l’Unità, invece, riferisce della morte di un “mercenario triestino” di nome Grilz. Perché questa indifferenza generalizzata di fronte all’uccisione di un giornalista italiano, per giunta di livello internazionale? Risulta difficile spiegarselo, a meno di non rievocare l’atmosfera che si viveva in quegli anni, un’atmosfera che risentiva ancora degli strascichi della tensione ideologica e politica dei vicini anni ’70. In questo contesto, Almerigo apparteneva alla categoria degli “imperdonabili”. Prima di dedicarsi a tempo pieno all’attività di reporter infatti, aveva partecipato attivamente alla vita politica cittadina: in una città come Trieste dove, usando le parole del giornalista friulano Toni Capuozzo (nella prefazione a “Almerigo Grilz: avventure di una vita al fronte”), “i comunisti sono più comunisti che altrove, e i fascisti più fascisti che altrove”, Grilz apparteneva allo schieramento di destra. Era, insomma, quello che all’epoca si definiva un “fascista”. Militò con passione fin da ragazzo, prima nella Giovine Italia e poi nel Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile dell’MSI-DN: era l’anima della sezione triestina, che anche grazie al suo impegno assunse un ruolo di primo piano nello scenario politico della città, sempre in accesa rivalità con i movimenti di sinistra. Nel 1977 divenne vicesegretario nazionale del FdG, e a metà degli anni ’80 entrò in consiglio comunale con il Movimento Sociale. Nondimeno, come salta fuori scorrendo anche velocemente la sua biografia, Grilz era molto lontano dallo stereotipo del “fascistone”, nostalgico e provinciale: parlava inglese, tedesco e spagnolo, e l’amore per i viaggi e l’avventura lo accompagnavano da sempre, insieme ad un’indole curiosa e ribelle.

Giovanissimo, appena finita la “matura”, partì con gli amici per un viaggio on the road, da Trieste a Helsinki. Era il periodo degli hippie, e anche negli anni successivi, Almerigo avrebbe passato le estati in giro per l’Europa, spesso in autostop, vendendo braccialetti e conoscendo negli ostelli giovani di diverse provenienze e ideali. Tra tutti i paesi quello che lo affascinava di più era l’Inghilterra, che visitava spesso: ne ammirava la coesione nazionale intorno alla Corona e l’inconfondibile stile british. Nel corso della sua giovinezza, la passione politica e quella per il giornalismo si intrecciano: il suo primo approccio con la politica nasce proprio dalla voglia di documentare, armato solo di macchina fotografica, un corteo di protesta per le vie del centro. È anche un abile disegnatore e, intuendo l’importanza della informazione diretta, negli anni della militanza affina e mette a frutto queste sue capacità, disegnando fumetti, manifesti e volantini che appariranno su “Giovane Destra”. Collaborerà col quindicinale “Dissenso”, giornale del FdG, ma anche col “Candido” e col “Secolo d’Italia”, come giornalista pubblicista.

Alla carta affianca poi la cinepresa, e fonda il Centro Nazionale Audiovisivo per la diffusione di documentari da lui girati. Alla fine, sarà la vocazione per il giornalismo ad averla vinta: lasciando la carica di consigliere e riponendo la laurea conseguita in giurisprudenza nel cassetto, Almerigo inizia la sua avventura come reporter professionista. Il suo turbolento passato politico tuttavia non lo abbandonerà, valendogli in Italia, almeno per i primi anni, una sorta di ostracismo (tanto che in alcuni articoli, come quelli apparsi su “Rivista Italiana Difesa”, si firma con lo pseudonimo Gritz); al contrario all’estero, lontano dalle logiche politiche del Belpaese, il valore del suo lavoro sarà riconosciuto subito.

Maputo, capitale del Mozambico (Source: Wikimedia)

Probabilmente Grilz non visse abbastanza per riuscire a scrollarsi di dosso le etichette e i pregiudizi, come hanno invece fatto molti suoi coetanei, che allora militavano in schieramenti radicali di destra e di sinistra e oggi sono tra i grandi nomi del giornalismo nazionale: Toni Capuozzo, Gad Lerner, Adriano Sofri, Marcello Veneziani, Gennaro Sangiuliano, solo per citarne alcuni. Oltre naturalmente ai suoi compagni di avventura, Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, che hanno raccolto l’eredità del loro “fratello maggiore” e oggi sono due dei migliori inviati di guerra in circolazione. Si deve a loro, e agli altri amici di “Ruga”, come veniva affettuosamente soprannominato Almerigo, se il suo ricordo è rimasto vivo negli anni: nel 2002, Micalessin partì per ritrovare il luogo dove l’amico era stato seppellito dai combattenti della RENAMO, sotto un grande albero, e da quel viaggio nacque un documentario, “L’albero di Almerigo”, che è anche la testimonianza di un Mozambico ormai pacificato. Tuttavia, sono passati molti anni prima che questo triestino scapestrato e geniale venisse ricordato ufficialmente dalla sua città e riconosciuto come caduto dell’informazione, insieme agli altri colleghi e concittadini uccisi a Mostar e Mogadiscio: Hrovatin, Luchetta, Ota, D’Angelo… e Grilz.

Giornalisti italiani, partiti in tempo di pace per andare a scoprire la guerra e testimoniarla a noi. Storie di passione e di sacrificio, queste: storie che ci costringono a lasciare il tepore della nostra stanza, indossare il cappotto e uscire dalla porta, anche se fuori soffia forte la Bora.

Per conoscere meglio la figura di Almerigo Grilz, potete leggere:

– Gli occhi della guerra, di Fausto Biloslavo, Gian Micalessin, Almerigo Grilz, 2007, emme&emme

– I mondi di Almerigo, di Pietro Comelli e Andrea Vezzà, 2017, Spazio InAttuale

– Almerigo Grilz, storie di una vita al fronte, AA.VV., disegni di Francesco Bisaro, 2017, Ferrogallico

– Guerra, guerra, guerra, di Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, 2018, Mondadori

*studente di Ingegneria Navale presso l’Università di Trieste

 

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi