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Wimbledon: dai treni di Tozeur ai traccianti di Ons Jabeur, esteta dell’evocativa terra tunisina- di Teo Parini

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Nei villaggi di frontiera guardano passare i treni
Le strade deserte di Tozeur
Da una casa lontana tua madre mi vede
Si ricorda di me delle mie abitudini

E per un istante ritorna la voglia di vivere
A un’altra velocità

Passano ancora lenti i treni per Tozeur

Nelle chiese abbandonate si preparano rifugi
E nuove astronavi per viaggi interstellari

In una vecchia miniera distese di sale
E un ricordo di me come un incantesimo

E per un istante ritorna la voglia di vivere
A un’altra velocità
“Il mio gioco è diverso, a volte ho così tante opzioni che in campo non so più cosa fare”.
A dirlo, molto più seriamente di quanto faccia trasparire la sua buffa espressione, è Ons Jabeur, la ventisettenne di Tunisi che, da numero due al mondo, si appresta a giocarsi l’accesso alla semifinale di Wimbledon. Nell’eventualità tutt’altro che remota, sarebbe la prima tennista araba di sempre a firmare una tale impresa.
È proprio vero: in un periodo storico in cui il tennis premia l’attitudine sparagnina e la competenza relegata a un paio di colpi ripetuti in loop, c’è davvero una ragazza nel Circus che fa della fantasia e dell’imprevedibilità la propria inconfondibile cifra stilistica e che, con la sopraggiunta maturità, risulta financo vincente. Ma è un dettaglio, quest’ultimo, che conta davvero poco per chi non è disposto a rinunciare alla bellezza in cambio di un nome sull’almanacco.
Centosessantasette centimetri dichiarati e una dieta rivedibile che senza far drammi ne arrotonda il profilo, Ons è quanto di meglio si possa oggi chiedere a una partita di tennis giocata in gonnella. Assuefatti alla noia del corri-e-tira che fa del gioco discendente dalla pallacorda un surrogato noioso del flipper, pare quasi impossibile che si possa pensare di entrare nel gotha delle otto sopravvissute alla prima settimana in Church Road proponendo sempre all’avversaria una palla differente da quella che l’ha preceduta.
Jabeur, invece, con la naturalezza degli artisti incompresi, almeno finché in vita, alterna senza uno schema preconfezionato una delicata smorzata a un tracciante colpito piatto senza essere sporcato dalla rotazione, un angolo euclideo strettissimo a un lungolinea disegnato nell’aria con la mano, un rovescio bimane intriso di modernità a uno slice d’antan che evoca i gesti bianchi di un tennis mandato troppo in fretta in soffitta, un attacco rubando il tempo al dio Chronos a un bombardamento inesorabile dal fondo del campo. Un ventaglio di alternative balistiche così ampio che, appunto, le crea paradossalmente il disagio della scelta. Che a volte risulta tennisticamente giusta e altre un po’ meno ma, in tutti i casi, è un abbacinante antidoto alla noia.
Piedi veloci, mano da fata e intuito da mago illusionista, Jabeur non ha preferenze sulle superfici, del resto si esibisce ovunque senza risentirne in termini qualitativi, non fa drammi indipendentemente dal risultato e non accampa mai scuse a valle di una sconfitta. “Datemi un campo e una racchetta – Ons lo ricorda sempre – che a me interessa solo divertirmi giocando a tennis”. Meglio di tutte le altre, potrebbe aggiungere. Ma non lo fa, perché troppa estrosa per cadere nel lapalissiano.
Con il ritiro di Barty, tanto per restare nell’ambito delle ragazze che danno del tu alla pallina, è bizzarro che il tennis – sport che sa essere disciplina meravigliosa o insopportabile iattura – si faccia sorreggere in questo momento di evidente penuria di emozioni dalla meno convenzionale di tutte. Una donna gioiosa nei cromosomi alla quale la vita vera, dunque quella lontana dai playground, piace maledettamente tanto, al punto da ribadire spesso di immaginarsi la sua carriera come una parentesi molto breve.
Tornando all’attualità e alla possibilità affascinante che la più talentuosa di tutte vinca il torneo più importante di tutti, Ons, discorrendo con i cronisti del suo stile di gioco e delle difficoltà che incontrano le sue avversarie nell’affrontarla, ha candidamente dichiarato: “Come vivrei se dovessi affrontare qualcuna che gioca come me? Beh, sarei anche io molto seccata”.
Noi inguaribili romantici, invece, seccati non lo saremo mai perché consapevoli del fatto che sono proprio le apparizioni provvidenziali come la cometa Jabeur che salveranno il formidabile paradigma di vita chiamato tennis. E, dunque, come potremmo non volerle bene?
Teo Parini

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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