Us Open: la sovrumana forza mentale di Sinner

Teo Parini 'verso' la semifinale dell'azzurro

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Non che fosse necessaria chissà quale competenza tennistica ma ieri, all’atto di presentare il match su queste stesse pagine, ci si poneva un quesito, se Medvedev avrebbe assunto un posizione più avanzata del consueto sul campo, e ci si esponeva in una considerazione circa l’inedeguatezza del russo nei pressi della rete. Il risultato, quindi la vittoria a conti fatti piuttosto netta nello score di Jannik Sinner, è somma dei due suddetti aspetti. Daniil è rimasto tafazzescamente incollato ai teloni di fondo campo subendo in troppe circostanze la maggiore intraprendenza dell’italiano e una sciagurata volée di rovescio, più da domenica mattina al circolo che da vincitore Slam, gli è costata molto probabilmente la chance di portare l’incontro al quinto e decisivo set.

Sul resto, al solito, cerchiamo di restare ancorati a ciò che ha detto il campo più che ai troppo facili entusiasmi. Quindi, partita bruttina, con tre set disputati sulle montagne russe e finiti appannaggio senza appello del più lesto a prendersi il primo vantaggio, e un quarto parziale finalmente animato da un minimo di lotta, ma più per un’ampia numerosità di errori (da ambo le parti) che per una sopraggiunta qualità. Qualche errore in meno per Jannik che, senza strafare, ha messo a segno il break decisivo nel settimo gioco, dopo aver salvato miracolosamente il suo precedente turno di battuta grazie alla decisiva compartecipazione dell’avversario, prima di mandare in onda i titoli di coda. Ordinaria amministrazione, verrebbe da dire, se non si trattasse di un quarto di finale Slam mai raggiunto prima d’ora dall’italiano che in premio avrà venerdì il geniale britannico Draper, che poco prima aveva fatto fuori il volitivo De Minaur – uno dei Top Ten meno performanti a memoria d’uomo – esibendo un tennis che, in quanto a talento, è da primo della classe.

Sempre ieri, nella preview, ci si interrogava sulla superiorità dell’azzurro, o del moscovita, qualora entrambi avessero fornito di sé la migliore versione possibile. È con rammarico, considerate le attese, che, si constata, al contrario, una versione per entrambi lontana da quella ottimale. Un po’, forse, la posta in gioco e un po’ la luna particolarmente negativa di un Daniil che ha finito per far giocare non troppo bene anche Jannik e che siamo certi essere piuttisto incazzato. Più per il come che per il quanto. Non a caso, il suo linguaggio del corpo nelle battute finali è parso oltremodo scoraggiato, quando un paio di giocate degne del suo blasone avrebbero potuto rivitalizzare morale e partita.

Per Sinner, invece, solo il secondo set lasciato sul piatto nel torneo e la prospettiva oggettivamente interessante di non dover far di conto, come viceversa plausibile alla compilazione del tabellone, né con Alcaraz né con Djokovic perché estromessi anzitempo a causa di uno stato psicofisico rivedibile per usare un eufemismo. Se della semifinale certa con Draper si è già detto, ora aggiungiamo che la presenza del britannico neo Top 20 impreziosisce il torneo perché capace di innalzare la voce qualità, l’avversario dell’ipotetica finale uscirà dal derby yankee tra Fritz e Tiafoe, bravi a riportare all’ultimo atto uno statunitense che a New York non vince ormai da un ventennio quando fu Roddick ad alzare la coppa. Bravi tutti e due a sfruttare un tabellone benevolo e due settimane giocate come forse mai prima d’ora. Fritz, comunque, non è poi così una gran sorpresa e sembra il più attrezzato ma Tiafoe, sulla carta più avvezzo a incappare in giornate storte, non è la prima volta che a New York faccia strada.

Insomma, comunque vada, la finale di domenica avrà per protagonista almeno un neofita in materia di Slam con la speranza ciò possa non costituire un limite all’auspicabile equilibrio. Tornando a Sinner, è davvero ammirevole la granitica capacità di fornire prestazioni sempre all’altezza anche in un periodo storico emotivamente non facile a causa del pasticcio doping – un tema che meriterebbe un articolo a sé – e del fuoco di sbarramento mediatico al quale è sottoposto. Se la sua mano non è quella di Alcaraz, del resto chi ce l’ha, in compenso la testa è quella di uno scienziato che non contempla battute d’arresto. Perché la sconfitta rimediata a Wimbledon proprio contro Medvedev avrebbe potuto insinuare in lui qualche legittimo dubbio e, invece, ha finito per ingigantirli a dismisura nel suo rivale.

Chiusura tassativamente dedicata alla coppia azzurra Errani-Vavassori in procinto di giocarsi la finalissima del misto
. E se per la meravigliosa Sarita, per la quale abbiamo terminato gli aggettivi, non c’è più nulla da dimostrare, per Wave sarebbe il premio per un giocatore che non sarà un fenomeno ma è depositario di un tennis piacevole in estinzione, all’arma bianca, che ci piacerebbe sopravvivesse alla legge del tempo. Per l’ennesima volta, in questo periodo azzurro dalle uova d’oro, i nostri connazionali transitano con il gruppo di testa all’ultimo chilometro, per usare un’espressione cara ai ciclisti, come se ciò corrispondesse alla normalità. Se pensiamo ai decenni di pane duro che ci siamo messi alle spalle, però, è facile rendersi conto che di normale non c’è nulla. Trattasi di eccezionalità alla potenza enne, un’epoca magari irripetibile che, pertanto, difficilmente scorderemo.

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