Karolina Muchova, ci tengono a farlo sapere gli addetti ai lavori col pallottoliere in mano, ha già compiuto ventotto anni, in carriera ha vinto un solo torneo e per giunta di una fascia che più bassa non si può e non fa sanguinare la pallina secondo i dogmi della modernità imperante. Invece, dovrebbero dirci che è una giocatrice stupenda. Perché ascrivibile alla cerchia di quelle che, alla stessa pallina, si rivolgono in maniera strettamente confidenziale. Danno del tu. Una di quelle che consentono di raccontare il tennis alla stregua di un’opera d’arte. Ancora, dovrebbero dirci che la nostra meravigliosa Jasmine Paolini, che è arrivata a New York comprensibilmente a corto di fiato, dopo una stagione esaltante oltre ogni immaginazione e nella quale ha raggiunto gli ottavi in tutte e quattro le prove dello Slam, ha ceduto il passo ad una giocatrice che senza noie fisiche le è qualitativamente superiore.
Non a caso la scuola di Karolina è quella che fu cecoslovacca, dunque asintotica alla perfezione stilistica. Scuola che in un passato nemmeno così remoto ha regalato alla disciplina almeno tre diamanti di inestimabile valore come Navratilova e Mandlikova, prima, e la compianta Novotna, poi. Muchova, forse non sarà della stessa epocale genia delle succitate colleghe, giusto dirlo, ma la tessera di quel club esclusivo può esibirla al mondo senza imbarazzo. Le credenziali? Una faretra colma di frecce diverse una dall’altra. Questa settimana, Karolina sembra aver trovato la migliore combinazione tra salute, bellezza e funzionalità, tanto che si è assicurata un posto tra le migliori otto del Major nordamericano con la prospettiva di un incontro alla sua portata per timbrare il pass per le semifinali.
Morale, stupirsi per la sconfitta rimediata dalla nostra Jas non denota particolare sagacia nella lettura del tennis. Jas che, infatti, ha candidamente ammesso di essere innanzitutto una fan della ceca, oltre che essersi rammaricata per la prestazione comunque sottotono.
Muchova è una giocatrice ariosa, dai colpi quasi piatti, depositaria dei segreti euclidei, fatti di angoli che spaziano tra lo stretto e l’ampio e traiettorie imprevedibili e inconsuete, e di tutte le possibili rotazioni concepite dalla fisica classica. Dire Muchova, pertanto, significa spostare il baricentro del gioco sul piano del talento e della fantasia. Parafrasando il maestro Gianni Clerici, da una mano così educata vorremmo tutti ricevere una carezza. Tennis d’antan e pure in estinzione, tennis che non passa mai di moda.
Una famiglia di calciatori e quella maledetta predisposizione all’infortunio, la sorpresa non è tanto che Karolina abbia palesato questi livelli di eccellenza sul cemento newyorchese ma che si sia ricordata di farlo. Un dato piuttosto eloquente che la riguarda recita come abbia un saldo positivo nei confronti delle giocarci occupanti la Top 3 del ranking, tanto che prima della sfortunata finale persa in Bois de Boulogne lo scorso anno era addirittura di 5 a 0. Giusto per ribadire il concetto che in una partita secca, ammesso che gli addominali fragili come cristallo glielo consentano, è sempre meglio girarle alla larga, perché è piuttosto facile finire scherzati dal suo abbacinante illusionismo.
Muchova, manco a dirlo, in questa stagione ha giocato pochissimo per via di un’operazione al polso resasi necessaria esattamente un anno fa proprio a New York. Così, la sua classifica recita ora un numero 52 che può ingannare i meno attenti e che non rammentano un lusinghiero best ranking da 8 al mondo. Quelli che oggi danno addosso a Paolini per non aver proseguito la corsa al titolo, manco avesse perso con una carneade qualunque. All’azzurra, tornando per un secondo al match, non è bastato uscire più lesta della rivale dai blocchi di partenza, al punto che, avanti per tre game a uno, ha subito un parziale taglia-gambe di cinque giochi che ha deciso il primo parziale e forse l’intero match. Perché il secondo set, di fatto, Muchova non ha mai dato l’impressione di poterlo perdere, nonostante la consueta garra esibita da Jasmine che, comunque, diventa la giocatrice italiana con il maggior numero di vittorie Slam nell’arco di una sola stagione. Due ottavi e due finali tra le quali la più prestigiosa di tutte, Wimbledon. Hai detto niente.
Inserita nella parte alta di tabellone, il prossimo incontro vedrà Muchova incrociare la racchetta della brasiliana Haddad Maria – nulla di così terribile per essere un quarto di finale – e qualora dovesse prevalere andrebbe forse a testare la qualità della numero uno al mondo, la polacca Swiatek, sul cemento che notoriamente non predilige. Pegula permettendo, altra top player in condizioni super. Siccome sognare non costa nulla, la finalissima, salvo sorprese, la vedrebbe opposta alla devastante Sabalenka che, a differenza sua, con la pallina fa i buchi sul ground ma che potrebbe andare in sofferenza sui binari di un match poco canonico come quello che sa imbastire Karolina. Indipendentemente da tutto ciò che verrà, è non essendo dato sapersi quale potrà essere già domani la sua condizione psicofisica e se si avrà il privilegio di scrivere di un’altra vittoria, il pensiero che nel circus si aggiri una tennista non stereotipata come Muchova è una sensazione rassicurante. Gli déi del tennis, a tempo debito, siamo certi troveranno il modo per dirle grazie. Nel frattempo, noi non ci perdiamo nemmeno un quindici, nello spirito per il quale dietro ad ogni suo colpo ci sia sempre qualcosa da imparare.
In bocca al lupo, Karo. E grazie di cuore anche a Jas, orgoglio di connazionale.