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UrbanaMente Giovani: tra globalizzazione.. e lettera a noi stessi

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In questo tempo in cui la realtà è caduta per gravità dentro la finzione rassicurante, in cui illusoriamente ci eravamo rintanati, abbiamo perso le coordinate. C’è chi passivamente aspetta risposte a questo disagio e c’è chi si arrabbia per la limitazione della libertà e invoca uno scenario per il futuro; c’è chi si lancia in previsioni irrealistiche e insensate e chi a testa bassa lavora alla ricerca disperata di una cura farmacologica contro il virus per poter riavviare il motore del mondo.

Il professor Sergio Chiodini

E i giovani? Rivelano con lucidità i loro pensieri e ci offrono prospettive di umanità e civiltà.   Ecco le loro riflessioni.

 

Il cavallo dell’Apocalisse e la fine della globalizzazione

Anche questa volta l’infernale cavallo verde dell’apocalisse ci ha sfiorato facendo tremare il mondo che ci siamo costruiti negli ultimi 30 anni. Il mondo che ci siamo bruscamente lasciati alle spalle è ormai al tramonto e non tornerà più. Questa è la fine di un’epoca storica. Nei nostri orizzonti si sta prefigurando un inquietante salto nel vuoto tanto terrificante quanto inevitabile. Quella storia che credevamo fosse finita sta adesso tornando con concetti che avevamo completamente dimenticato per chiudere la parentesi monotona e dorata del mondo globalizzato. Tutto questo ci inquieta e ci pone in una dimensione di insicurezza perché non sappiamo a cosa stiamo andando incontro. Proprio come un viaggiatore che parte per un’avventura improvvisa senza portarsi dietro lo stretto indispensabile, così noi ci siamo impelagati in una disperata e folle corsa al progresso dimenticandoci del viatico del nostro passato.

 

Il traguardo di tale corsa è rappresentato dalla globalizzazione: una realtà tanto magnifica quanto illusoria perché non poggia su fondamenta stabili e sicure. Per questo motivo, occorre guardare al passato per costruire il futuro così quando il cavallo tornerà non ci coglierà impreparati.  La storia sta tornando per rispolverare nella nostra memoria quei concetti dimenticati e, a volte ripudiati, di patria, tradizione e cultura in cui s’è visto qualcosa di antiquato, ma la cui profondità eclissa ogni tentativo di abbatterla. Coronavirus o no questa realtà globalizzata era purtroppo destinata a cadere. A tal proposito, illuminante è quanto affermava Leopardi riguardo l’impero di Roma: “e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu più patria di nessuno e i cittadini romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono col fatto”. Ogni forma di progresso scientifico comporta un progresso nell’ambito delle virtù: per questo motivo, dobbiamo riscoprire la nostra anima, diventare consapevoli di ciò che siamo e sulla base di questo ricostruire il futuro. “Fermati e aspetta che la tua anima ti raggiunga…” il primo passo è già stato fatto, manca il secondo.

Michele Ranzini – III A Liceo Classico Quasimodo

Lettera a noi stessi

Da settimane vediamo ormai sui social, sui balconi delle case, sui post-it sparsi per le nostre città messaggi quali “Andrà tutto bene”, messaggi di vicinanza, di solidarietà. Tutt’a un tratto un sentimento forte di unione, quasi patriottica, ha scosso l’Italia intera, è scivolato di casa in casa, portato dal vento della primavera in tutte le famiglie. Flash mobs, canti, candele e cartelloni sono state le nostre piccole armi di difesa di fronte all’imperversare di un nemico ostile, che occupa tutto lo spazio che ha intorno, che si insinua ovunque, che ci rinchiude nelle nostre abitazioni. Abbiamo avuto, però, la testa dura. Sì, perché capire la necessità di starcene a casa per noi stessi e per gli altri è stato difficile; fino all’ultimo abbiamo dovuto negare, abbiamo dovuto stupidamente ribellarci contro ogni evidenza, abbiamo avuto persino bisogno che si lanciasse un hashtag perché, ormai, obbediamo solo a quelli, crediamo solo a quelli. Seppur lontani, da subito, il mondo interconnesso nel quale siamo immersi ha permesso di sentirci, in un modo o nell’altro, vicini tra noi: tanti puntini uniti con del filo rosso a creare legami che neanche un nemico potente come questo può distruggere. Purtroppo questa situazione se da un lato ha scatenato reazioni solidali e prosociali, dall’altro ha fatto emergere e mostrato ancora una volta il lato piú egoista dell’uomo: gli assalti ai supermercati, le corse ai treni, per avere per primi tutto, per arrivare prima degli altri. L’uomo ha paura. Per anni nella sua condizione di uomo del XXI secolo, invincibile e immortale, ha evitato di credere che potesse avere paura: era un uomo forte, un uomo sicuro, un uomo che pensava che mai niente o nessuno avrebbe potuto togliergli ció che era SUO. E invece, proprio ora, è la paura ad aver fatto uscire i suoi lati più bruti, piú nascosti. E invece, proprio ora, è arrivato un nemico che gli porta via tutto. Abbiamo riscoperto un uomo che difficilmente sa rinunciare, che fino all’ultimo non vuole abbandonare la sua rassicurante routine di tutti i giorni. E invece no. Ora tutto è stato sconvolto, tutto è stato stravolto. Le paure, le debolezze, le angosce di ognuno all’improvviso sono emerse dai meandri intricati delle nostre individualità.

 

Due tendenze opposte quindi: una rivolta verso l’altruismo, la socialità, la comunione di sacrifici, l’altra verso l’egoismo, l’individualità, la predominanza dei propri interessi. Due facce della stessa medaglia. Ci possiamo quindi chiedere: l’uomo è un animale sociale come un tempo diceva il nostro Aristotele? O ha ragione il proverbio latino “homo homini lupus”? Siamo forse davanti a un uomo Hobbesiano dalla natura egoistica e che obbedisce solo al principio di sopravvivenza e di sopraffazione? Le risposte e le riflessioni a ognuno di voi. Seneca ci consiglierebbe, in un periodo del genere, di prenderci cura del nostro tempo, di trasformarlo in “vita”, di cogliere da esso i frutti migliori, di non sprecarlo. Ci è stata data l’occasione di stare con noi stessi: non rinunciamoci. Ci è stata data l’occasione di conoscere meglio noi stessi, tutti i nostri lati e i nostri aspetti: non rinneghiamoci. Ci è stata data l’occasione di pensare, di riflettere, ci è stato dato il tempo di ricominciare da capo: non sprechiamolo. Ma soprattutto, quando tutto questo sarà finito non dimentichiamocelo. Non dimentichiamo i nostri errori, non dimentichiamo il nostro egoismo, non dimentichiamo mai quanto è stato bello starci vicino anche da lontano, quanto è stato bello vedere le stelle nel cielo avvolte da un’aria fresca e pulita, quanto è stato bello sentirci uniti, quanto è stato bello aiutare l’altro. “Diamoci una seconda possibilità.”

                                                            

Giulia Accardo – classe VB Liceo Classico Quasimodo   

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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