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UrbanaMente Giovani e il caso Sea Watch

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La chiusura forzata degli spazi dedicati alla cultura interrompe questa settimana le conferenze del programma UrbanaMente 2020. La sospensione del dibattito non arresta però la riflessione: l’onda lunga del pensiero, quando sollecitato e vivo, viene fuori da sé, trova da sé i suoi tempi, i metodi e le modalità per venire alla luce, può rimanere a lungo immersa o riemergere inaspettatamente carica di senso. Forse è proprio il silenzio che invita la parola a rivelarsi.

 

Un giorno in classe. L’alunna chiede al professore il consenso di poter mostrare ai compagni un video per discutere un argomento che potrà essere oggetto del colloquio orale all’esame di maturità. All’interno della didattica di classe vengono infatti proposte agli studenti parole chiave, inerenti all’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, utili per approfondire “i principi della Carta costituzionale, la conoscenza delle istituzioni e la partecipazione alla vita democratica a sostegno della formazione di cittadine e cittadini attivi e responsabili, consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri, e per la diffusione dei valori della Costituzione e quelli dell’integrazione europea.”

Il professore accoglie la proposta e rilancia. Concede all’allieva  20’ di tempo per la visione del filmato e 15’ per il commento e la discussione in classe ma dovrà lei stessa gestire e condurre il dibattito. La parola è “straniero”.

 

   SEA WATCH

 

Sguardo luminoso, maglione rosso a balze e fossette agli angoli della bocca quando sorride. Così si presenta Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch, nel video edito su You Tube dal Canale di Venti, una community fondata un anno fa da Sofia Viscardi, giovane youtuber, in collaborazione con un piccolo entourage di cui fa parte Irene Graziosi, intervistatrice nel video in questione. Giorgia è una simpatica ed effervescente ragazza di ventinove anni che, seduta a gambe incrociate sul divano del suo salotto, condensa in poco più di venti minuti storie da brividi, di quelle che si sentono al telegiornale – ma non sono storie “da telegiornale”, lontane, distanti, per lei che le ha vissute, letteralmente, sulla sua pelle – e scomode verità, con grande semplicità e ammirevole lucidità.

 

    L’ISOLA E IL MARE

 

Giorgia è entrata per la prima volta in contatto con Sea Watch nel 2015, subito dopo aver conseguito un master in Diritto internazionale a Ginevra; quello stesso anno si è trasferita a Lampedusa, per conoscere meglio l’isola e ambientarsi in una comunità toccata direttamente da uno dei temi più caldi della nostra epoca: l’immigrazione. “Sull’isola è forte il sentire per cui nessuno può essere lasciato in mare”, dice, “è fuori discussione. Chiunque conosca il mare percepisce come ridicola tutta questa manfrina”. Nella sua prima missione è salita a bordo della Sea Watch 1 in qualità di communication officer: si occupava di tenere i contatti via radio con la Guardia Costiera, “come si fa nelle operazioni militari”. Successivamente si è imbarcata su Aquarius con Medici senza frontiere, questa volta per raccogliere le testimonianze di tutti coloro che approdavano alla salvezza dopo un viaggio per il quale avevano rischiato tutto. Da questa gente ha imparato importanti lezioni di vita: “persone che salgono a bordo e ringraziano di essere vive: sono cose molto basilari che però noi, in una vita in cui si dà tutto molto per scontato, abbiamo perso”.

 

  “I SOMMERSI E I SALVATI”

 

Nella nostra società, a livello istituzionale, “c’è una normalizzazione di questo fenomeno, come se non riguardasse davvero delle persone che stanno morendo”, dice Irene Graziosi; Giorgia invece sa bene che in gioco c’è la vita di migliaia di esseri umani: lo sa perché una di loro, Berth, una ragazza camerunense, le è morta tra le mani, mentre lei cercava di rianimarla con il massaggio cardiaco. “Lei sicuramente me la porto dentro, perché queste cose o ti rovinano oppure ne devi fare una forza”. Ed è proprio in nome di questa forza che afferma con convinzione: “Questa cosa la dobbiamo continuare, non mi interessa chi mi si mette davanti, i governi, i capi di Stato, la magistratura: noi siamo stati lì, noi abbiamo visto, noi abbiamo toccato i corpi di queste persone, ci abbiamo parlato, e l’unica cosa che puoi fare è portarti dentro tutta questa roba e farne la tua forza contro chiunque”. Giorgia riconosce che, non appena si parla di ONG, emergono pregiudizi e luoghi comuni, ma ci tiene a fare una precisazione importante: “Io non sono per l’abolizione dei confini, non sono per ‘tutta l’Africa in Italia’, io sono per ognuno a casa sua, se sta bene; però sono anche una che studiava a Milano, ha deciso che voleva andarsene a Ginevra ed è andata a farsi il master a Ginevra, e non ho capito perché uno che non ha accesso all’acqua potabile non può decidere di andare in un posto dove magari ce l’ha”.

 

  L’ANGELO DEI PROFUGHI

 

Al di là delle missioni su Sea Watch e Aquarius, però, Giorgia è anche una ragazza di ventinove anni, che vive le relazioni e le dinamiche di qualunque altra ragazza della sua età (full immersion nello shopping in occasione dei saldi, appuntamenti dall’estetista…), cercando di conciliarle con la sua attività di volontaria. Attività che certamente occupa gran parte della sua vita, del suo tempo e delle sue energie, ma non per questo costituisce un peso per lei, che afferma con passione e riconoscenza: “Quello che io devo a Sea Watch e a quello che faccio è il fatto di sentirmi parte di un momento storico in cui io sono un attore, e sento la responsabilità di essere attore perché, se tutto fa bene, ci sto ancora un tot su questa terra e vorrei che girasse un po’ come dico io”. Mi vengono in mente le parole di Nawal Soufi, l’“angelo dei profughi”, attivista per i diritti civili –un’altra donna straordinaria – nel suo discorso del 2016 al Parlamento europeo: “La domanda fondamentale è: noi dove andremo, quando ci guarderemo davanti allo specchio, un giorno, quando dovremo raccontare ai nostri figli che non abbiamo fatto quando tutti potevamo fare?”. Parole che toccano, scuotono le coscienze, che fanno sentire chiamati in causa in prima persona, che esortano ad “osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo” (dall’Enciclica “Laudato si’” del maggio 2015). Se è vero che l’indifferenza è la malattia del nostro tempo (“c’è questa forma di assopimento, di completo scollamento”, dice Giorgia), penso che questa ragazza offra, con il suo esempio, un efficace e potente modo per combatterla.

 

Federica Lainati classe 5A Liceo Classico Quasimodo

La citazione “I SOMMERSI E I SALVATI” è il titolo di un libro di Primo Levi.

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