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UrbanaMente Giovani: confidare nel mondo al tempo del Covid

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I ricordi della prima pandemia e purtroppo con l’autunno ecco il film drammatico che ritorna….

Scrivevamo ovunque che sarebbe andato tutto bene, cantavamo per sovrastare il suono delle sirene delle ambulanze e cercavamo di sorridere, di essere ottimisti; perché in fondo, rinchiusi tra le stesse mura per mesi che ci sono sembrati interminabili, eravamo soli con noi stessi. Sentivamo amici e parenti tramite schermi e applicazioni varie ma tutta la tecnologia esistente non potrà mai sostituire il calore di un abbraccio, di un bacio, di una carezza, di una stretta di mano.

Dopotutto, tentavamo solamente di nascondere la paura, l’incertezza, le lacrime, le giornate in cui tutto ciò che volevamo era scappare via. Ci è mancato passeggiare, viaggiare, ci sono mancati gli uffici e i banchi di scuola, ci sono mancati i weekend, i concerti, i film sul grande schermo, i locali, ci è mancato lo sport, ci sono mancati i nonni.

Era cambiato tutto troppo velocemente, e non eravamo pronti. Si è mai pronti per una pandemia?

Ricordo che ero in ansia perché il lunedì successivo avrei avuto una versione di greco, mi telefonò mia zia e mi disse di ascoltare il telegiornale: scuole chiuse in Lombardia. Da lì in poi chiusero tutto, l’Italia era in ginocchio, l’economia singhiozzava, le terapie intensive colme e tutti cercarono di darsi una risposta, siamo diventati un po’ tutti tuttologi ma trovare un perché, il perché un virus sia stato in grado di dirottarci la vita, fu inutile.

Da quel pomeriggio non si alterò solo la nostra quotidianità, non ce lo ricordiamo più un mondo senza mascherine.

 

Poi per un attimo i decreti ci hanno fatto sperare in un miglioramento, dopo ore ed ore ad ascoltare le lezioni dietro ad un computer e dopo un’estate singolare, Conte annuncia, con numerosi interrogativi, la riapertura delle scuole.

Avrei rivisto i miei compagni dopo sei mesi di messaggi e videochiamate, sarei risalita su un autobus, sarei rientrata nella mia classe, avrei reincontrato i vecchi prof e conosciuto quelli nuovi; abbiamo desiderato un po’ tutti che questa paradossale situazione potesse divenire un brutto ricordo. Avevamo voglia di correrci incontro e recuperare i momenti persi ma per salvaguardare la salute di tutti siamo stati obbligati a sorridere con gli occhi e ad emozionarci dietro a una mascherina. Ogni cosa che descrivesse un’adolescente: pensieri non espressi, voglia di urlare, di correre, di non perdere tempo, il sabato sera, la musica, ridere senza un reale motivo, il costante bisogno del sociale e l’esigenza di provare tutto, al cento per cento; sembrava ormai immaginazione.

I primi giorni di scuola sono stati come vivere qualcosa di nuovo, eppure era semplicemente un tentativo di “normalità”.

Ma diciamoci la verità, non ce l’abbiamo fatta, possiamo dire che non sia andato tutto bene, che la situazione sia critica, che siamo spaventati.

Siamo tornati al punto di partenza, stiamo lì, davanti al televisore, ad aspettare i telegiornali, il numero dei nuovi casi e ogni giorno ci sembra che non finisca mai. Nessuno vuole un nuovo lockdown, uno è stato sufficiente ma l’unica cosa che ci è chiara, è che non esiste più qualcuno in grado di prevedere.

Vorrei avere il coraggio di dire a tutti coloro che hanno perso qualcuno senza poterlo salutare un’ultima volta che mi piacerebbe avere la loro forza, vorrei che un giorno venisse ripagato l’immenso lavoro dei medici, vorrei che ci fossero più modi per prevenire i contagi, vorrei guardare negli occhi il pianeta e chiedergli scusa per come lo abbiamo trattato, ma la lezione l’abbiamo imparata, vorrei che la gente non morisse di fame per la mancanza del lavoro, vorrei dimenticare le zone rosse, la quarantena, i tamponi, il coprifuoco, il metro di distanza…

L’Italia non si fermerà, non se lo può permettere: i più piccoli continueranno a sognare e noi continueremo a studiare, non smetteremo di lavorare, di scoprirci e di credere che ci sarà la parola fine.

Ma ora vorrei solamente che tutto tornasse come prima, anche se sembra così difficile.

 

 

                                                                      Ilaria Pisati Classe 2B Liceo Classico Quasimodo

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