Uncle Lucius – “Like It’s the One Left” (2023) by Trex Roads

"Fermarsi per poi ripartire alla grande proprio dal punto in cui si era fermati. Non capita quasi mai, anzi chi si ferma per così tanto tempo, anche se continua su strade parallele, soprattutto nella musica, non riesce più a riprendere il filo del discorso".

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In questo 2023 sono capitati due casi eclatanti di ritorni che, al contrario, ribaltano questo assioma e lo hanno fatto in maniera talmente di qualità che sono entrati di diritto nella leggenda.
Vi ho raccontato la storia dei Turnpike Troubadours che sono tornati assieme dopo quasi 4 anni e lo hanno fatto con un grande disco, con un suono rinnovato e più ricercato.

Ecco, nella storia della musica indipendente c’era un’altra band di culto che, improvvisamente, si era sciolta nel 2017 e aveva lasciato un vuoto nella scena musicale texana di cui erano fra i più originali e amati esponenti: gli Uncle Lucius.

Formatisi nel 2006, avevano dato alle stampe ben 4 dischi che in quegli anni avevano un pò rivoluzionato la scena di Austin: un suono originale, oscillante fra il rock e il soul, fra il country e il blues.

La band aveva raggiunto il culmine con il meraviglioso And You Are Me del 2012 che aveva scalato le classifiche di musica indipendente e il cui eco aveva anche attraversato l’Oceano.
Il brano più bello intenso e di successo di quel disco, Keep The Wolves Away, una storia autobiografica e drammaticamente intensa, è stato proprio il volano che ha ricreato interesse attorno a questa fantastica band.

Perché? Perché il produttore e deus ex-machina della serie tv più popolare di sempre negli States, Yellowstone, l’ha inserita nella colonna sonora e l’interesse (assolutamente meritato) è tornato all’improvviso attorno al nome degli Uncle Lucius.

Dopo alcuni live che hanno mostrato al mondo che il tempo sembrava proprio non essere passato, eccoci al ritorno discografico con questo bellissimo Like It’s The One Left.

10 pezzi che sembrano venuti da un’altra dimensione temporale in cui questa band texana ha continuato a suonare assieme per questi 5 anni: sicuri che se ne erano andati per la loro strada?

Il gruppo è ancora formato dal frontman Kevin Galloway, dalla chitarra di Mike Carpenter, Josh Greco e John Grossman, ma alla formazione si sono aggiunti la chitarra di Doug Strahan e il basso di Drew Scherger.

Il disco è prodotto alla grande dal co-fondatore della band e che in teoria non ne sarebbe più membro, ma lo è ad honorem e cioè Hal Jon Vorpahl, infatti nel disco ha scritto molti dei brani e vi suona moltissimi strumenti.

L’album inizia con la solare e divertente ballata soul Keep Singing Along e ci accorgiamo che la splendida voce di Galloway ci era mancata. La chitarra di Carpenter ricama un suono quasi british, accompagnato dalle tastiere che portano il brano a diventare quasi gospel.

La successiva Civilized Anxiety invece spazza via l’atmosfera rilassata e sgasa con un riff di chitarra e tastiera avvolgente ed entusiasmante, ma è sempre la voce di Kevin Galloway a guidare il gruppo verso un brano rock dal sapore soul, che i cori accrescono in intensità.

Il riff e l’appeal del brano sono un chiaro omaggio alla lezione impartita da John Fogerty e i suoi Creedence. Il testo ci parla dell’ansia da civilizzazione esasperata.

La ballata All The Angelenos riprende in maniera ironica e pungente il tema dell’eccessivo trasferimento di abitanti di Los Angeles ad Austin e in generale in Texas per via del costo della vita minore e anche della sua sicurezza e qualità. Il violino ci ricorda che siamo proprio nel Lone Star State e il ritmo è da ballare.

Il soul molto anni ’70 di Tuscaloosa Rain è delizioso, la voce di Galloway e il lavoro magistrale di ritmica e tastiere è quasi geniale, così come la nemmeno tanto velata dedica al grande Elvis.
Meravigliosa la maniera con cui questa band padroneggiano il rock e il soul, senza dimenticare il country dal sapore texano.

Fate partire Holy Roller e cercate di rimanere fermi al riff blues southern, alle magiche tastiere seventies. Un brano che mi ha entusiasmato fin dal primo ascolto e poi l’assolo sporco e devastante di Carpenter è gioia per le orecchie, sembra di stare in un pezzo southern della Allman Brothers Band. Fantastica!

Un altro riff dal groove anni ’70 invade gli speaker con Trace My Soul e la tastiera ricama
emozioni accompagnando la splendida voce di Galloway che ci canta di come sia necessario accettare la vita come viene, lasciare che vada e ci porti dove ci vuole portare.

Altro brano che non uscirà più dalle mie playlist. Dopo aver emozionato, fatto ballare e correre a perdifiato per questa altalena di chitarre e tastiere, il disco si chiude con Heart Over Mind, con un arrangiamento di archi che rasenta la perfezione per come valorizza il cantato sempre perfetto di Kevin Galloway. Un altro brano che sembra essere tratto da una jam session con Il Re Elvis nella “sua” Las Vegas e credo che un complimento così vi faccia capire la grandezza di questo lavoro.

Un ritorno graditissimo di una band il cui culto non aveva mai accennato a spegnersi, era rimasto come il fuoco a covare sotto la cenere e ora è pronto per bruciare di nuovo come 5 o 6 anni fa quando gli Uncle Lucius mettevano a ferro e fuoco i locali del Texas e non solo.

10 pezzi di una bellezza espressiva esaltante, emozionanti e suonati da un gruppo di meravigliosi musicisti, capeggiati da un frontman in possesso di una delle voci più belle e riconoscibili del circuito indipendente.

Considero il loro pezzo del 2012 Keep The Wolves Away una delle canzoni più belle di sempre e, credetemi, questo disco non va lontano da quella qualità e anzi ne rinverdisce i fasti.
Bentornati!

Buon ascolto,
Claudio Trezzani by Trex Roads

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