Negli ultimi anni la ricerca scientifica sul carcinoma del pancreas, uno dei più aggressivi, ha fatto progressi e l’aspettativa di vita, che era per lo più di pochi mesi, ora supera i tre anni in un numero sempre crescente di pazienti, grazie alla combinazione di chirurgia e oncologia. Uno dei problemi da risolvere resta, però, la diagnosi tardiva. Per questo, la ricerca punta a strategie di sorveglianza attiva per tenere sotto controllo chi è più a rischio di sviluppare tale patologia, a causa di familiarità per carcinoma pancreatico e/o predisposizione genetica. I risultati di un nuovo studio co-guidato dall’ateneo di Verona, insieme all’ università Vita-Salute San Raffaele di Milano, sono stati pubblicati su The American Journal of Gastroenterology.
Lo studio riporta i risultati della sorveglianza condotta con risonanza magnetica o ecoendoscopia su 679 soggetti sani, a rischio di carcinoma pancreatico per familiarità, cioè con almeno due parenti affetti da carcinoma pancreatico, sulla stessa linea di sangue, di cui uno di primo grado, o predisposizione genetica. Grazie a questi controlli sono stati individuati una lesione pre-carcinomatosa e 8 adenocarcinomi, 5 dei quali in portatori di mutazioni genetiche. Grazie alla sorveglianza attiva, sono stati identificati 8 carcinomi pancreatici, e una lesione pre-tumorale, in soggetti asintomatici, che non avrebbero ricevuto diagnosi se non in fase sintomatica, conclamata di malattia. Inoltre, sono stati identificati sei tumori neuroendocrini del pancreas, altri carcinomi non pancreatici e un numero considerevole di cisti pancreatiche da sorvegliare.
“Degli 8 carcinomi pancreatici – spiega Salvatore Paiella docente di Chirurgia Generale – ben 3, quindi circa il 40%, erano in stadio precoce, percentuale molto alta, e molto distante dalla pratica clinica dove è inferiore al 5%, e 5 erano “resecabili” alla diagnosi, cioè erano aggredibili chirurgicamente. Il follow-up è ancora molto breve per potere sperare che questi interventi chirurgici e queste diagnosi precoci possano aver impattato positivamente sulla sopravvivenza. Ma di sicuro, più precoce è la diagnosi, migliore è la prognosi