Tennis: welcome back Sasha (Dimitrov), domani finale con Sinner a Miami

Teo Parini ci introduce al 32enne bulgaro che sfiderà il nostro ragazzo, a un passo dal numero 2 al mondo

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La pazienza, dicono, è la virtù dei forti. Noi, con questo ragazzo dalle qualità tennistiche epocali, ne abbiamo avuta in quantità industriale perché, appunto, di quelli come lui né passa uno ogni morte di Papa e la speranza è sempre stata quella di poterlo vedere raccogliere per quanto valesse. Sono passati tre lustri da quando lo abbiamo visto giocare per la prima volta. Era ancora tra gli juniores e non perdeva mai. Fu una sensazione strana, perché in quel periodo non avevamo occhi che per Roger Federer, nella convinzione che avvicinare quel livello di perfezione fosse umanamente impossibile. Invece, Grigor Dimitrov, del genio basilese, pareva essere la copia fedele e non serve dire come ciò si traducesse in un complimento enorme.

Troppo ingombrante, forse, perché l’etichetta di Baby Federer cominciò a condizionarne la carriera fin dagli albori, questione di aspettative. Una pressione esagerata sulle spalle di un ragazzo che iniziava a proporre un tennis meraviglioso e non del tutto funzionale ai tempi correnti, fatti di picchiatori in pantaloncini capaci di correre come dannati e sparare traccianti ad ogni colpo più forti senza sbagliare mai. Lui, invece, brandiva un pennello ma, inutile girarci intorno, se contro gli epigoni del ‘bollettierismo’ ha dovuto ingoiare un sacco di pane duro Federer, l’originale, figuriamoci un ragazzo alle prime esperienze nel circus. Certo è che la somiglianza era da intelligenza artificiale, peraltro ancora era lontana dall’essere concepita, e il pensiero che animava noi drogati di bellezza fu quello di esserci garantiti anni di vacche grasse grazie al giovanotto bulgaro che faceva proprio le stesse cose di quell’altro. Giovanotto a cui madre natura aveva donato anche un’elasticità muscolare da ginnasta, oltre alla mano fatata, tanto per dire che gli ingredienti erano tutti al loro posto. Invece, con Djokovic e Nadal che fanno man bassa di Slam senza lasciare in terra nemmeno, Dimitrov fatica ad imporsi.

Intendiamoci, le stagioni non sono certo negative per uno che raggiunge in fretta la Top 10, vince un Masters 1000 e un’edizione delle Finals, con in mezzo anche una semifinale a Wimbledon più buttata che persa. Ma il confronto tecnico e di talento con chi, al contrario di lui, sa solo vincere farebbe, appunto, presupporre altri e decisamente piu prestigiosi risultati. E, intanto, gli anni passano. Chissà, forse anche quel suo viso da copertine patinate e la passione per le belle donne non lo aiutano, tant’è che si arriva ben presto a parlare di lui come il vero grande rimpianto della generazione mancata, quella incapace di impensierire il triumvirato di dioscuri, più Murray e Wawrinka, che continuano ad imperversare. Lo sport, però, quando si pensa di possedere una certezza sembra essere lì apposta per farne brandelli. Perché a Dimitrov, ormai trentatreenne, scatta qualcosa.
Siamo alla fine del 2023 e nei palazzetti teatro degli ultimi appuntamenti stagionali si verifica un accadimento che avevamo smesso di immaginare possibile. Fatte le debite proporzioni, il deja vu riporta ancora una volta alla mente Roger Federer e, in particolare, la sua svolta del 2017, quella della cura Ljubicic. Per chi se la ricorda, l’idea di tornare a lasciare il segno negli Slam accrescendo a dismisura l’aggressività nel gioco, tradotta da una posizione sul campo così avanzata da portarlo a giocare, per ore, di solo controbalzo. Flipper-tennis, livello di difficoltà: incalcolabile. Grisha, il cui principale difetto è sempre stato quello di avere la tendenza a stare troppo lontano dalla linea di fondo, deve aver rivisto quel Federer-Nadal di Melbourne – probabilmente la partita più bella dell’Era Open – per convincersi a percorrere la medesima strada. Il talento per immaginarlo realizzabile, ovviamente, non manca e inizia a raccogliere, deliziando.

La semifinale a Shanghai e la finale a Bercy, prima dello spumante di fine anno, sono già un bell’indizio, ma è il livello di tennis esibito questa settimana a Miami che certifica prepotentemente lo switch. Alcaraz, il più talentuoso di tutti, a fine match ha dichiarato di essersi sentito un tredicenne sculacciato, tanto la lezione impartita da Dimitrov gli è parsa severa. Un pensiero simile deve averlo fatto anche Zverev, rispedito al mittente senza troppi complimenti, tant’è che Grigor contenderà al nostro Sinner un torneo prestigioso e vecchio quanto il tennis. Comunque vada, da lunedì, per Dimitrov si spalancheranno nuovamente le porte della Top 10 e chi l’avrebbe mai detto. Non ne abbia a male Jannik, che se dovesse vincere il titolo salirebbe al numero due del ranking mondiale, ma al tennis farebbe un sacco bene se a prevalere fosse il bulgaro.

Questione pedagogica. Un messaggio in stampatello maiuscolo alle nuove leve. La dimostrazione plastica della possibilità, anche in questo tennis, di vincere percorrendo una strada diversa da quella convenzionale. Quella del talento, della fantasia, della varietà, dell’improvvisazione. Quella che, una volta ritiratosi Re Roger, pareva essere impraticabile. Fino a quando Dimitrov ha cominciato davvero a credere in sé stesso, scacciando etichette e somiglianze. Ben arrivato, Grisha, ti stavamo aspettando.

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