Tennis: salta il ‘due’. Take it easy e provaci ancora, Jannik

In ballo, oltre al titolo, c'era la seconda piazza del ranking che, per ora, resta appannaggio dello spagnolo bravo a respingere l'assalto dell'italiano.

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Prima o poi sarebbe dovuto succedere, la legge dei grandi numeri. Che sia stato Carlitos Alcaraz ad interrompere la striscia vincente di Jannik Sinner, campanilismo a parte, non è poi una cattiva notizia perché in questo periodo storico stitico in quanto a talenti non è pensabile fare a meno del tennis dello spagnolo, il giocatore in attività (Kyrgios, di fatto, non lo è più) per distacco piu virtuoso del seeding. La sua versione sbiadita degli ultimi sei mesi abbondanti non è ancora definitivamente messa alle spalle, il match di ieri lo ha confermato, ma per battere Sinner, benché l’azzurro non fosse al top della forma fisica causa palesi noie al ginocchio in chiusura di match, occorre comunque una prestazione di spessore e in casa Alcaraz non la si vedeva da troppo tempo, tanto da far allarmare gli addetti ai lavori dal cambio di umore facile già pronti a celebrare il suo funerale. A vent’anni, pazzi.

Alcaraz è fenomeno epocale e il tunnel in cui si era impantanato rientra nella normalità del processo di maturazione di un tennista che, oltre alle insidie dell’età quasi adolescenziale, ha l’aggravante, si fa per dire, di giocare un tennis complicatissimo e fatto di mille cose, così tante che è un attimo incartarsi da soli quando la fiducia è quella che è. Chi pensa sia un paradosso è perché non ha mai incontrato il pensiero di Nick Bollettieri, il guru del tennis moderno, per il quale è a pensare più del minimo sindacale che si fanno dei gran casini giocando a tennis. Vien da sé che il possesso di un ventaglio inesausto di opzioni tecnico-tattiche, e Carlitos lo ha, può costituire un’arma a doppio taglio quando i pensieri sono meno automatici del dovuto. Ecco, l’impressione di questi ultimi mesi è che fosse un po’ vittima della confusione, oltre che dalla fine dell’effetto sorpresa sugli avversari ormai abituati a fronteggiare il suo illusionismo. Ma che qui ad Indian Wells qualcosa fosse cambiato lo si era già detto a valle della batosta rifilata al buon Zverev di questi tempi e la semifinale di ieri vinta in rimonta su Sinner non ha fatto altro che confermare l’assioma.

Che bellezza: la palla sembra tornata a sanguinare, quando si mette in testa di sfondare come un prima linea del rugby, e a descrivere traiettorie inconsuete, quando decide di darle del tu con la delicatezza di una poesia di Rodari. Il test, come si diceva poc’anzi, non è del tutto veritiero perché il terzo parziale ha visto Sinner scendere troppo di livello per essere quello doc, probabilmente le scorie di tante partite giocate e vinte. Ma è altrettanto vero che l’Alcaraz di dieci giorni fa ci avrebbe tranquillamente perso lo stesso e lo switch fa presagire una primavera ad altissimi contenuti tennistici. In ballo, oltre al titolo, c’era la seconda piazza del ranking che, per ora, resta appannaggio dello spagnolo bravo a respingere l’assalto dell’italiano. Nessun problema, entro il 2024 è molto probabile che questi due diavoli si contenderanno il numero uno e, pertanto, in propositi bellicosi sono solo rinviati. Insomma, se ne vedranno delle belle.

Tornando al torneo che ambisce al ruolo di quinto Slam, sarà una finale di lusso quella che vedrà Alcaraz affrontare Medvedev,
più fortunato che bravo a regolare Paul, il giustiziere di Nardi che a sua volta ha estromesso Djokovic. Ma la brutta prestazione non deve ingannare, in finale il russo avrà tutta un’altra faccia. Daniil è un pigro, e pure mezzo matto, e in campo ha sempre la tendenza a giocare con voglia proporzionale al blasone dell’avversario e, con tutto il rispetto, Alcaraz non è certo il volitivo Paul. L’atto conclusivo, nonostante la delusione per la mancanza di Sinner, promette di valere il prezzo del biglietto. Jannik, dal canto suo, ha un team che non necessita di consigli ma, potessimo farlo, lo inviteremmo ad un po’ di stop per ricaricare le energie psicofisiche, adesso che la stagione della terra battuta, quella a lui meno congeniale, è già alle porte con tutto il suo carico di polverosa fatica. Obiettivo Parigi. Doppio, peraltro, con Roland Garros e Olimpiade.

Buone notizie per l’altro azzurro, Matteo Berrettini, che torna a disputare una finale dopo un periodo che a definire sfigato gli si fa un complimento. Certo, non si tratta di Wimbledon ma di un Challenger come ce ne sono tanti. Tuttavia, occorre aver sempre a mente due cose. Una è che nessuno ti regala mai nulla e che tutte le partite devono essere vinte di merito e non di blasone. L’altra, assai più importante, è che a vederlo giocare pare abbia riposto la circospezione mista a paura di incappare nell’ennesimo infortunio che lo accompagnava come un’ombra. Facendo tutti gli scongiuri possibili, Matteo sembra essersi dato una nuova chance. Chissà che possa essere il preludio ad una stagione sui livelli che gli competono.

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