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Tennis: non fate gli schizzinosi, dopo i fasti di Panatta abbiamo solo Sinner- di Teo Parini

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Jannik Sinner esce brillantemente da una settimana di grande significato. Una settimana che l’ha visto demolire gli avversari di seconda fascia col piglio del favorito che non ha troppo tempo da perdere, e non è una cosa da poco, nella quale ha battuto il giocatore più forte in circolazione, Carlos Alcaraz, per poi disputare la seconda finale di un Master 1000 della carriera.

C’è poco da fare gli schizzinosi, questo è un bilancio che in Italia si registra ogni morte di Papa. Certo, il torneo ha finito per portarselo a casa Daniil Medvedev, come quasi sempre accade di questi tempi, e viste le premesse erano in tanti a pensare che quella di ieri potesse essere la volta buona. Ma se Jannik contro l’orso moscovita ha un consuntivo tremendo, fatto di zero vittorie e sei sconfitte, un motivo ci dev’essere per forza. È quello dell’inapplicabilità della proprietà transitiva al gioco del tennis, dove, se Sinner batte Alcaraz che con ogni probabilità batterebbe Medvedev, non è affatto detto che l’italiano possa prevalere sul russo. Questione di incastri tecnici e tattici che, nel confronto diretto, giocano terribilmente a sfavore di Jannik, almeno per ora.

Intanto, Medvedev è un giocatore eccezionale, con un’efficacia inversamente proporzionale alla bruttezza della sua gestualità, quindi fortissimo. Un muro asfissiante con la diagonale sinistra demoralizzante con la quale fa e disfa ciò che gli pare. E se un dritto ficcante come il suo va considerato il colpo di scorta, e i fondamentali di inizio gioco risultano solidi come pietre, si capisce perché, almeno sul cemento, sia da considerare favorito (quasi) tutte le volte in cui scende in campo. Anche contro il miglior Sinner. Un robot simile, infatti, può essere mandato ai matti solo opponendo alla sua perpetua regolarità la più variegata poliedricità possibile, insomma, contro Medvedev serve sapere fare un milione di cose per proporgli a ogni palla un quesito differente. Se non viene trascinato fuori dalla sua zona confortevole – e purtroppo per gli altri è bravissimo a incanalare il match sui binari a lui più congeniali – non perde mai. Quindi, o sei Alcaraz e hai nelle corde un ventaglio di soluzioni inesausto, o hai la genia di Kyrgios, che per motivi extra tennistici un torneo non lo vince mai ma pare abbia un conto aperto con Medvedev a cui riserva sempre la miglior versione possibile, oppure ci lasci le penne. Se non è scienza esatta poco ci manca.

In tutto ciò, Sinner resta una benedizione per l’Italia del tennis che è da mezzo secolo che non ci regala un campione capace di segnare un’epoca, e qualche margine per alzare ulteriormente un livello già importante lo ha ancora. Quello che sa già fare, intanto, è eccellenza assoluta, per esempio la capacità di produrre velocità con entrambi i colpi di rimbalzo senza dover gestire un lato di corpo più debole dell’altro. Dritto o rovescio, la palla esce dalle corde con una pulizia tale da ricordare la perfezione stilistica della grande scuola cecoslovacca ma che fa male come un gancio al mento di Roberto Duran. Il problema, semmai, viene dal servizio, fondamentale ancora troppo acerbo per il ruolo che giustamente ambisce a ricoprire. La partita di ieri, in tal senso, è stata impietosa: percentuali alla battuta troppo basse (di prime palle messe in campo e di trasformazione delle stesse) per incrinare le certezze di una macchina da guerra come Medvedev. Per arrivare, infine, alla nota più dolente: la possibilità di adattare in corsa un piano di gioco che può essere devastante, e spesso lo è, quando, per i mille motivi che fanno del tennis un gran casino, devastante non si dimostra. Qui, il super coach Cahill che ha la fortuna di avere al fianco è chiamato agli straordinari ma di sicuro ci stanno già lavorando.

A beneficio di quelli che salgono e scendono dal carro di Sinner in ragione del risultato, magari senza nemmeno aver visto criticamente l’incontro, occorre ricordare con l’equilibrio dovuto che lo stato dell’arte, considerato il momento storico avaro di campioni, dice che un livello superiore al suo è esibito solo da un numero esiguo di avversari e, al contempo, ha già scavato un bel solco rispetto agli altri che in linea teorica lo possono incalzare. Ragion per cui un exploit importante non richiede chissà quali incastri astrali, questione di tempo e della giusta dose di fortuna. Il segreto di Pulcinella sta nel continuare a battere con regolarità scientifica gli avversari di rango inferiore per frequentare senza soluzioni di continuità gli appuntamenti che contano, l’abitudine a stare al tavolo di chi si contende la posta in palio. Perché, è lapalissiano oltre che statistico, così facendo prima o poi la giornata di gloria arriva. In tal senso, Jannik a differenza di altri ha già dimostrato di essere disposto a sacrificare tutto il sacrificabile della sua età sull’altare del tennis e, detto con l’egoismo dell’aficionado, si ha la garanzia che a fine carriera avrà fatto il possibile, e anche di più, per far parlare di trionfi azzurri senza dover sempre scomodare quel meraviglioso diavolo di Panatta. Che fu tutt’altra cosa, sia chiaro, ma i tempi cambiano e non sempre in meglio.

Teo Parini

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