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Per chi se lo ricorda, nell’ormai lontano 1987 andava in scena un momento di sport passato direttamente dal ring alla leggenda. Ray ‘Sugar’ Leonard e Marvin ‘The marvelous’ Hagler si contendevano, nella cornice del Caesar Palace di Las Vegas, il titolo dei pesi medi.
Con il maestro Rino Tommasi al commento, assistemmo alla vittoria per verdetto non unanime di Leonard e ci sentimmo dei privilegiati come quelle volte in cui si ha la percezione di aver assistito a qualcosa di irripetibile. Campioni straordinari, visioni e personalità differenti che si intrecciano, una disciplina esigente che impone rispetto. Prevalse, almeno per i giudici, la fantasia dell’uno sulla pragmaticità dell’altro mentre tutto intorno giganteggiava la boxe.
Il più grande: Rino
Fatta ogni debita proporzione per non cadere nella blasfemia, quella sensazione per la quale lo sport esonda dai suoi argini grazie al caleidoscopico confronto tra cifre stilistiche antitetiche ce l’hanno ricordata ieri, almeno per un set, colui che è, appunto, zucchero per il tennis, Lorenzo Musetti, e quello con la dinamite per le mani, Matteo Berrettini, i protagonisti della finale dell’ATP di Napoli. Una manifestazione che è inno agli eccessi: un contesto mozzafiato e un’organizzazione raffazzonata. Ha vinto con merito Lorenzo e, senza nulla togliere al più degno dei rivali, per il tennis è uno spot enorme come le (poche) volte in cui il successo passa più per la bellezza del gesto che per la sua scientificità.
Berrettini è un campione vero, oltre che un esempio di costruttiva laboriosità, ma Musetti è un’altra cosa: uno sfacciato colpo di fortuna per l’Italia del tennis. Un ragazzo che ha i cromosomi per percorrere con costrutto il sentiero tracciato da Panatta e poi abbandonato, più per obbligo che per scelta, da chi ne ha fatto seguito. Lorenzo, come fu per il sempre rimpianto Adriano, dà del tu al talento perché è proprio della più incontaminata forma di talento che è costruito il suo castello tennistico. Anche Sinner è un campione, tanto per sottolineare in quale periodo di straordinario riscatto si vive alle nostre latitudini, e salvo sorprese arricchirà il suo palmares di trofei sempre più importanti. Ma per chi della conta dei punti riesce a non farne una malattia, Musetti è, appunto, tutt’altra cosa. La differenza ontologica che nel calcio passa tra Pippo Inzaghi e Dejan Savicevic, con il primo che fa sempre ciò per cui è pagato, cioè goal, e il secondo che impregna di magia e genialità i racconti davanti al caminetto.
Intendiamoci. Lorenzo non è figlio della ninfa Liriope, non è morbosamente innamorato della propria immagine riflessa in una fonte e quindi, sportivamente, non morirà consumato da questa distruttiva passione. Possiamo immaginare gli piaccia molto essere Musetti, del resto come dargli torto, tuttavia sbaglia chi ancora oggi pensa di trovarsi di fronte uno dei talentuosi pazzoidi che tutti pieni di sé non combinano mai nulla di funzionale al proprio mestiere. Musetti – che, en passant, ha un’età nella quale Berrettini ancora faceva a sportellate nel pantano dei Challenger – appartiene alla cerchia di coloro che ritengono che l’apprendimento sia processo senza fine e non perdono occasione di aggiungere ogni volta un pezzettino al proprio bagaglio. Insomma, gente che sul campo lavora davvero per dare di sé la versione più aggiornata possibile. Questa settimana, infatti, i meno distratti si saranno accorti di una nuova dinamica al servizio, colpo di inizio gioco che in qualche occasione gli ha dato qualche grattacapo. Il risultato è che in tutto il torneo Lorenzo ha perso un solo game di battuta, esibendo una sicurezza, nel settore che è cartina al tornasole delle potenzialità di successo, a tratti disarmante. Per la verità, anche il dritto è apparso più pesante, appropriato agli schemi offensivi tipici delle superfici rapide. Un altro colpo che è sulla strada buona per diventare anch’esso dominante.
Lo spartiacque, il pupillo di coach Tartarini lo aveva già vissuto nello scorso mese di luglio, quando, mettendo sotto nel gioco e nel punteggio il predestinato Alcaraz, incamerava il suo primo torneo del circuito maggiore. Napoli, in tal senso, rappresenta quindi l’immediata conferma, il superamento della temuta prova del nove. Come spesso accade, legge non scritta di ogni manifestazione dell’agone, vincere aiuta a vincere e così, rotto il ghiaccio, Musetti ha cominciato a esibire sul campo una consapevolezza decisamente accentuata che fa scopa con un linguaggio del corpo che ingigantisce l’immagine percepita dal rivale. Laureato all’Università delle Variazioni con specializzazione nella Fantasia balistica, Lorenzo da Carrara è quindi pronto a guidare l’elitario partito d’opposizione al corri-e-tira, del quale è stimato Segretario, al colpo di stato: quello della bellezza al potere.
Teo Parini
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