― pubblicità ―

Dall'archivio:

Tennis: a Rotterdam Sinner perde, ma noi rimpiangiamo il dritto di Camporese.. di Teo Parini

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

 
ROTTERDAM Rotterdam, per chi si nutre di tennis azzurro, più che la città di un torneo che è appuntamento fisso della stagione invernale è, insieme, il ricordo dolce di un pomeriggio indimenticabile e il rimpianto per ciò che, invece, non ha avuto un seguito altrettanto luminoso.
La città dal più grande porto d’Europa, ormai trentadue anni fa, raccontava il momento apicale di un giocatore che, se solo lo avesse desiderato di più, avrebbe potuto far valere in pianta stabile mezzi tecnici da primo della classe. Siamo certi che a Omar Camporese da Bologna, ascoltando le lodi al comunque eccellente dritto di Matteo Berrettini, un sorriso sotto i baffi scappi ogni volta. Perché il suo colpo migliore nonché marchio di fabbrica, appunto il dritto, era per il tennis la pedata mancina di Gigi Riva, un rombo di tuono, e un montante di Roberto Duran, pugile poco raccomandabile con la mano di pietra. Una sentenza. Se lo ricorda molto bene Ivan Lendl che in quel pomeriggio del 1991 per lui nefasto dovette cedergli il passo oltre che un pezzo di fegato. Camporese conquistò così a Rotterdam il primo dei suoi due (soli) titoli della carriera – vincerà anche Milano qualche tempo dopo, neutralizzando un altro fenomeno come Goran Ivanisevic – posizionandosi tra i migliori venti giocatori al mondo. Prima di perdersi, salvo riapparire con esaltante casualità per lasciare traccia indelebile e fugace del suo immenso talento. Fiammate estemporanee di un campione mancato ma non per questo dimenticato.

Jannik Sinner, al contrario, di voglia da spendere tra allenamenti e tornei ne ha da vendere e, non a caso, il suo palmarès non è già nemmeno paragonabile a quello costruito da Camporese in una carriera intera, nonostante i suoi vent’anni e poco più. Nel più classico dei ricorsi storici che esaltano lo sport, l’altoatesino è stato chiamato a rinverdire, proprio a Rotterdam, i fasti del passato azzurro. A valle di due settimane pressochè perfette, condite da nove successi in fila impreziositi dal titolo a Montpellier e finalmente dallo scalpo di un top player come Tsitsipas, la finale disputata ieri sapeva tanto di prova di maturità perché ad attenderlo al di là della rete c’era Daniil Medvedev, l’orso (e l’orco) russo. Uno antipatico come una cartella esattoriale ma capace di spegnere i sogni di Grande Slam a Djokovic, con il suo gioco da Playstation e la diagonale rovescia letale come arsenico. Per la verità Daniil non stava vivendo esattamente il suo periodo migliore. Scivolato nello sconforto psicofisico a causa dell’incredibile sconfitta patita per mano di Nadal agli Australian Open del 2022, quando gettò alle ortiche una partita già in ghiaccio, ci ha messo diversi mesi prima di ritrovare la fiducia che lo ha portato non troppi mesi fa in vetta al ranking mondiale e solo da qualche settimana è tornato a fare intravedere il suo valore. Ragion per cui il compito di Sinner, ieri, era di quelli tosti: la scalata del Mortirolo con la racchetta in mano.
Se c’è un aspetto che non si può rimproverare a Jannik è quello di lasciare qualcosa di intentato per presentarsi in campo al meglio delle sue possibilità; uno di quei secchioni che a scuola non facevano mai copiare il compito pronti a sacrificare ogni centimetro della gioventù sull’altare della carriera. Morale, se il talento non è minimamente paragonabile a quello di un Kyrgios, ma neanche a quello di Camporese, in compenso la dedizione certosina alla causa è quella buona per stare in alto, soprattutto in un periodo tennistico che non si può certo definire florido. Tuttavia, per battere la (quasi) migliore versione di Medvedev non è sufficiente, almeno non ancora. Davanti ad un ex numero uno come fu a suo tempo Lendl per Camporese, Sinner, uscendo dai blocchi come un centometrista, ha messo in campo un’ora di grandissimo livello riuscendo a rimanere francobollato ad un avversario che, purtroppo per lui, aveva il piglio del maratoneta che va inesorabilmente in crescendo. Così, mentre l’azzurro sparava tutte le sue cartucce in avvio, il russo innalzava l’asticella punto dopo punto fino a stazionare su traiettorie non più transitabili da un Sinner che ha finito per essere sgretolato, pezzo a pezzo, dal metronomo moscovita. Pensare di batterlo sul piano del ritmo è da malati mentali, infatti il corretto piano di gioco dell’italiano prevedeva la massima aggressività e la volontà di prendersi il punto in fretta senza farsi invischiare nei lunghissimi scambi da flipper che fanno di Medvedev un incubo. Ciò, sfruttando la formidabile penetrazione dei suoi colpi di rimbalzo. Facile da dirsi ma molto meno da farsi perché le doti difensive e di transizione dalla fase passiva a quella offensiva del russo sono state la sabbia mobile che ha inghiottito i propositi di un Sinner che, suo malgrado, ha plasticamente dimostrato l’importanza nel tennis di saper fare tante cose e, ancora di più, di poter cambiare in corso d’opera una strategia che si dimostra inefficace. Quelli che sono in questo momento i suoi limiti più evidenti, oltre a una manualità a rete deficitaria.
C’era tanta attesa per verificare lo stato dell’arte in casa Sinner ma la tommasiana prova del nove ha tradito almeno in parte le attese, se non altro perché non si è mai avuta l’impressione che potesse vincere la partita, nemmeno con un set di vantaggio e una certa fiducia in poppa. Jannik, in ogni caso, resta una straordinaria benedizione per il movimento di casa nostra e, sfruttando le occasioni che gli si presenteranno davanti più la necessaria dose di fortuna, potrà comunque ambire a qualcosa di importante perché, con il lavoro, aggiungerà ancora qualche freccia al proprio arco. Le notizie buone sono quindi due. Per il tennis, tout court, è di aver constatato che l’orso è uscito dal lungo letargo, se n’è sentita la mancanza. Per l’azzurro, invece, la consapevolezza di aver ceduto il passo solo a uno che oggi è decisamente più forte di lui e che gli ha sbattuto in faccia senza sconti il cammino tortuoso che lo attende. In altri termini, uno scivolone pedagogico. Per concludere, abbiamo assistito ad un bel pomeriggio di tennis ma, con tutto il rispetto per gli attuali protagonisti, com’era più bello veder giocare Camporese?
Teo Parini

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi