Ignoriamo dove fosse il ministro degli Esteri Luigi Di Maio tra il 1996 e il 2001, quando i talebani ospitavano un Osama Bin Laden intento a progettare lโ11 settembre e, intanto, governavano lโAfghanistan a colpi di lapidazioni e mutilazioni rituali. Possiamo perรฒ garantirgli una cosa: ipotizzare, come fa il ministro in unโintervista al Corsera, la disponibilitร talebana ad offrire ยซle dovute garanzie sul rispetto dei diritti acquisitiยป equivale ad accarezzare una tigre affamata nellโillusione di sentirla far le fusa. Unโillusione che puรฒ ben illustrargli il suo predecessore Massimo DโAlema, ritrovatosi a gestire, nel marzo 2007, la vicenda del giornalista Daniele Mastrogiacomo rapito dai talebani e costretto ad assistere allo sgozzamento del suo interprete.
Ascoltare Di Maio appellarsi alla clemenza talebana, formulando un involontario, ma sostanziale ossimoro, รจ anche irrispettoso per le vite dei 53 nostri soldati caduti in Afghanistan e il sangue degli oltre 700 feriti che di quella clemenza non hanno beneficiato. Per non parlare dei 389 collaboratori afghani delle nostre Forze Armate che attendono di venir trasferiti in Italia e rischiano, intanto, una brutta fine, mentre โ spiega ancora il ministro โ ci apprestiamo a sgomberare la nostra ambasciata a Kabul. Ancor piรน sconcertante รจ sentirgli affermare che ยซnon possiamo pensare di abbandonare dopo 20 anni il popolo afghanoยป. Qualcuno, per cortesia, gli spieghi che i talebani si sono appena impossessati di Farah e Herat, le province dellโAfghanistan occidentale dove per quasi 20 anni abbiamo promesso democrazia, benessere e rispetto dei diritti delle donne. Promesse platealmente tradite quando ce ne siamo andati al seguito degli americani. Certo, soli non potevamo restare, ma la figuraccia resta. E un ministro farebbe meglio a non aggravarla con unโinutile retorica.
Gian Micalessin
(da Il Giornale)