Monumentale. Non ci sono altri aggettivi in grado di descrivere la portata dell’ultimo saggio di un accademico italiano che dovrebbe essere un oracolo ma che, in ragione della insostenibile superficialità del mainstream televisivo e giornalistico, batte da anni le perigliose vie del pensiero non conforme, nonostante un curriculum accademico con pochi eguali.
Il Prof. Giulio Sapelli, nato a Torino nel 1947, dove si è laureato in Storia economica nel 1971 e ha conseguito la specializzazione in Ergonomia nel 1972. Ha studiato presso l’Institut fur Weltwirschaft di Kiel e ha insegnato e svolto attività di ricerca presso la London School of Economics and Political Sciences e l’Università di Buenos Aires. E’ stato Directeur d’ Etudes presso l’ Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Parigi, Fellow dell’Università Europea di Fiesole e della Fondazione Gulbenkian di Lisbona e Visiting Professor presso le università di Praga, Berlino, Buenos Aires, Santiago del Cile, Rosario, Quito, Barcellona, Madrid, Lione, Vienna, South California, Wollongong/Sidney, New York. E’ stato Professore Ordinario di Storia Economica presso l’Università degli Studi di Milano, dove ha insegnato anche Analisi Culturale dei Processi Organizzativi. E’ stato inoltre Consigliere di Amministrazione di Eni, Ferrovie dello Stato, Unicredit Corporate Banking, di Snaidero Group e Presidente di S+R-SGR e di Meta Energia, Commissario Governativo Straordinario della Fondazione Monte dei Paschi di Siena. E’ Consigliere di Amministrazione del Museo Poldi Pezzoli e della Fondazione Eni Enrico Mattei. E’ Presidente del Comitato Scientifico del Centro di Studi e di Storia dell’Impresa.

Soprattutto fa parte della Fondazione intitolata al più grande statista italiano che non abbia ricoperto incarichi di Governo nel Novecento, ossia Enrico Mattei. Nel recente ‘Stati Mercati Guerre – Nella Storia mondiale’, edito per i tipi di Guerini e Associati (2021, 24 euro e 50), è come se il professor Sapelli continuasse, aggiornandolo (e approfondendolo), l’opera di analisi che lo scorso anno Giulio Tremonti, altro economista mirabilmente attento all’aspetto culturale ed antropologico, condensò nelle Tre Profezie.
Non sembri azzardato il ‘parallelo’ con Enrico Mattei: la sua geniale intuizione, l’Eni, fu difatti un vero e proprio perno del sistema-Paese. Assieme all’Iri rappresentava una delle due gambe di quell’industria a partecipazione pubblica che ebbe un ruolo fondamentale nel mobilitare ingenti quantità di investimenti e a valorizzare il capitale umano, industriale e culturale del sistema-Paese e, come ricorda lo storico
Giuseppe Berta, giocò un ruolo chiave nel trainare la crescita di un Paese uscito prostrato dalla guerra. E se l’Italsider e la Stet furono due dei campioni nazionali in grado di trainare l’Italia verso il gruppo dei grandi Paesi industriali del pianeta, l’Eni si proiettava oltre i confini nazionali per dare al Paese l’energia necessaria ad alimentare il suo sviluppo. “Non voglio vivere ricco in un Paese povero”, diceva Mattei: in frasi tanto semplici, ma altrettanto profonde al contempo, è riassumibile la lucida comprensione delle priorità del Paese da parte della classe dirigente italiana dell’epoca. E Mattei seppe dialogare a tutto campo anche con un mondo politico che capì le implicazioni della sua attività. Con la stessa passione, l’autore di questo saggio entra nella ‘carne viva’ della relazione tra Stati e dinamiche economiche.
Giulio Sapelli, come detto, va ben oltre, seppur nello stesso solco, ossia quello di chi ha la capacità di leggere economia e fatti economici attraverso la lente della storia e dei processi storici.
Sono tredici i capitoli, estremamente godibili anche in virtù di un linguaggio che ancorché professorale gronda passione intellettuale ad ogni piè di pagina, che l’autore scrive per decrittare l’andamento delle dinamiche economiche e finanziarie globali, sottoposte allo stress test più violento nella storia della contemporaneità moderna, ossia il Covid.
Il saggio parte dalla impietosa rilevazione dell’indebolimento delle strutture statali weberiane, dice Sapelli, che di fatto hanno lasciato e lasciano campo libero all’ubriacatura della finanza apolide e transnazionale, la distopia ‘ordo liberista’ che l’autore individua nel mercato regolato dall’haute finance e dalle big corporations. I grandi ed epocali cambiamenti che scandiscono il Mondo nuovo sono per Sapelli il tramonto della divisione dei poteri, del mercato capitalistico, dello stato liberale. Tutti prodromici all’autoregolamentazione delle infrastrutture (non per nulla) sovranazionali.
L’autore prende così per mano chi legge immergendolo in godibili richiami storici e letterari, dedicando un capitolo estremamente interessante alla Russia (‘Il paradosso è che mentre nulla vi è di più stabile della terra, il potere russo, e Putin con esso, sono invece scagliati con forza nel plesso dlel’instabilità strategica mondiale”), che apre ad un intero (e determinante) capitolo chiamato proprio Instabilità.
E’ qui che Sapelli vede nel tramonto della politica, e della diplomazia di kissingeriana memoria, il terreno di scontro che vede il Capitale (ormai scisso persino dal capitalismo) trionfare egemone.
L’autore sale di tono, capitolo per capitolo, decrittando i caratteri della ‘crescente divergenza mondiale’, passando dalla crisi siriana all’influsso di Leo Strauss sull’America reaganiana, ricordando al pari dell’allora solitario e inascoltato Giulio Tremonti (ministro ‘Cassandra’) il tappeto rosso concesso alla Cina nel 2001 con l’ingresso nel Wto.
Attraverso tecnocrazie, transizione energetica, ricognizione sull’ethos dei popoli (e molto altro ancora), Sapelli arriva al cuore del problema (europeo, quindi anche italiano): un continente senza Stati che adotta come strumento di costruzione la moneta. Ancora una volta (sillogicamente), la morte della politica di cui sopra. Ha vinto Jean Monnet e ha perso Charles De Gaulle, oltre 60 anni fa, ed i risultati paiono evidentisismi, e l’autore li illustra impietosamente e con freddo rigore analitico, accademico e polemologico.
Esiste una soluzione ad un processo degenerativo ? Come ogni grande opera saggistica, destinata a superare le intemperie del tempo così come sanno fare solo un manipolo di autori (ci sovviene l’Ernst Junger capace di attraversare e per intero il Secolo Breve), Sapelli lascia spazio a una speranza: il mercato senza morale distrugge la società, la comunità la ricostruisce e la fa crescere. Abbiamo la necessità, inziando da questo assunto, di elaborare una risposta a queste domande, mentre i super falchi della finanza svincolata da ogni nomos della Terra banchettano sulla morte della responsabilità d’impresa e l’incombente necessità di introdurre rating etici.
Oggi, al posto di conoscere, si tende sempre più a disimparare. Siamo una società dell’informazione che non ha nulla a che fare con il sapere.
Giulio Sapelli il professore, l’accademico, il saggista, il futurologo. Soprattutto, Sapelli l’umanista. Il nostro Virgilio, ancor più importante in tempi molto più bui di quelli descritti dall’Alighieri.
Facesti come quei che va di notte,
che porta il lume dietro e sé non giova,
ma dopo sé fa le persone dotte.
Insostituibile, Giulio Sapelli. Ancor più, dopo queste 300- e preziosissime- pagine.
Fabrizio Provera