Sinner verso l’Immensità, ma ora servono calma e sangue freddo… di Teo Parini

Finalmente l'Italia ha per le mani un campione che può fare epoca, magari già da domenica.

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Sport bastardo, il tennis, e pure meraviglioso. Perché puoi essere perfetto per tre set, arrampicarti fino a match point e poi, su quest’ultimo, sbagliare una palla fin lì sempre messa a referto. Così, l’avversario con già un piede e tre quarti in doccia, cattivo e fortunato come solo i forti danno essere, capisce che c’è ancora vita sul pianeta, organizza le idee e riparte con un piglio tutto nuovo. Se, poi, il resuscitato è Djokovic, finisce praticamente sempre allo stesso modo, con quella sua indescrivibile capacità di rigettare la sconfitta ad avere la meglio su tutto e tutti, lo insegna la storia. Però, adesso c’è Jannik Sinner che, non avendo timore reverenziale per nessuno, cambia le sorti già scritte proprio di quella storia. Così, dopo aver dilaniato l’avversario fino ad issarsi al match point, sbaglia un dritto facile, perde il set, va a sedersi, si rialza e, non curante di ciò che avrebbe già potuto essere e non è stato, riprende il cannoneggiamento. E vince, con la risolutezza di chi sembra nato apposta per farlo. Ragazzi, è tutto vero.

Un dato eloquente è questo: a metà del secondo set, con Sinner avanti un set e un break, Djokovic ha già commesso più di venti errori gratuiti, un numero che solitamte rende conto di un match intero se non due. Si potrebbe dunque pensare ad un serbo in giornata no, cosa che peraltro non dev’essergli mai accaduta in carriera, ma ad averli visti ci si rende conto che sono la logica conseguenza di incontrare un avversario che ti toglie qualunque tipo di certezza, al punto da costringerti a scelte tattiche raffazzonate ed estemporanee che nel tennis significa, appunto, commettere una valanga di errori. Il body language di Djokovic, oggi, ha tanto ricordato quello degli avversari del Tyson prima maniera, la furia invincibile antecedente la galera. Un pugile suonato dal gap di cilindrata del motore che, in questo momento, separa il serbo dall’azzurro. La cui palla è più pesante, più svelta, più ficcante, più lunga, più direzionata. Insomma, più tutto e non è un’iperbole. E, cosa che più importa, trova sempre modo di finire dentro al campo, con predilezione per gli ultimi centimetri di esso, da manuale del gioco.

Ciò che impressiona maggiormente, però, è che il segno più stia anche davanti alla casella della forza mentale dove Djokovic rasenta il robotico e, pertanto, non è mai sembrato avvicinabile e per tutti gli altri esseri umani lo è ancora. Invece, Jannik appare dominante anche in questo frangente, gioca tutti i punti come fossero uguali e gestisce la pressione come un comune mortale ingurgita birra al bar. Il suo essere glaciale mette quasi paura e ci si rende conto di quale arma di deterrenza possa essere e, soprattutto, quale e quanto disagio agonistico possano provare i rivali a sentirsela appiccicata addosso come colla. Un mostro. Tornando al match, due le annotazioni interessanti. Detto della qualità globalmente esibita, a tratti è parso esercitare una pressione umanamente insopportabile, a stupire molto positivamente è stata la velocità supersonica della ricerca della palla con i piedi e la capacità di colpire forte e preciso anche in situazioni di equilibrio non ottimale per girare a suo vantaggio l’inerzia dello scambio. Di fatto, ha significato per Sinner condurre le operazioni del gioco in maniera pressoché totale. La seconda, invece, riguarda la risposta al servizio, settore del gioco nel quale Djokovic è docente universitario. Ecco, l’azzurro ha messo a punto una continuità di rendimento nel fronteggiare la battuta altrui che è dello stesso ordine di grandezza di quello del numero uno al mondo e non serve specificare quanto sua fondamentale nel tennis moderno la possibilità di prendere in mano lo scambio già in risposta, riducendo i cosiddetti punti facili nelle mani dell’avversario. Il tutto è sintetizzato da una velocità occhio-mano da primo della classe. Insomma, Jannik vede prima degli altri con la mano che asseconda a meraviglia i suoi pensieri fulminei. Sul resto dell’armamentario, infine, niente da dire: centrato come accade ormai dallo scorso novembre, il mese della svolta.

Adesso occorre calma. Molta calma, perché scalato un Everest il tennis propone subito un altro ‘ottomila’ da domare con le prove del nove di tommasina memoria che non finiscono mai. Sulla strada del titolo di uno Slam che, pertanto, potrebbe riprendere la via dell’Italia dopo quarantotto lunghissimi anni – dal Roland Garros del ’76 meravigliosamente griffato Panatta – c’è ancora un ostacolo che potrebbe essere financo più duro di quello odierno per svariate ragioni che avremo modo di sviscerare. In ogni caso, ammesso ne servisse la conferma, l’Italia ha per le mani un campione che può fare epoca, magari già da domenica. Ma noi, al solito, preferiamo non aggiungere nulla e puntare la sveglia all’alba. Perché se succede…

■ Prima Pagina

Ultim'ora

Altre Storie

Pubblicità

Ultim'ora nazionali

Altre Storie

Pubblicità

contenuti dei partner