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Sinner, tra lancette del tempo e ossessione (usurante) per la vittoria – di Teo Parini

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Intanto il tempo passa. Tuttavia, ne ha ancora molto, Jannik, per fare quel che da quando ha preferito la racchetta agli sci gli viene richiesto ossessivamente, cioè vincere. Non è affetto o stima questo appiccicoso interesse, è accanimento.

Augurare a qualcuno di essere un tennista, peggio ancora se vincente, significa volergli del male e anteporre l’egoismo del tifoso al buon senso del fratello maggiore.Sinne Perché il tennis è un inferno senza riparo, spaccato sociale che a dirsi disagevole è riduttivo e con la capacità di far emergere il peggio dell’animo umano, per dirla alla Robertino Lombardi. Fuori dal campo ti consuma le articolazioni; in campo, oltre a quelle, ti bullizza cuore e mente. Vale la pena rinunciare agli anni migliori per sollevare un trofeo? No, per uno come Kyrgios, che infatti non ci prende mai per motivi che è superfluo ricordare. Sì, invece, per uno come Sinner, che in quanto a determinazione feroce non ha da dover dimostrare più nulla. Questo ragazzo sembra, anzi è, nato per fare questo.

Ma per sostituire Panatta sul trono dell’italiano più forte di sempre, riconoscimento morale a cui ambisce, gli serve un 1976, appunto, alla Adriano. E non è così scontato possa accadere anche se, ormai da un paio d’anni, ciò sembra sempre sul punto di manifestarsi. Eppure, in generale, il periodo è piuttosto propizio. Perché, con tutto il bene che si possa volere a gente comunque tosta come Medvedev, Tsitsipas, e compagnia e con Alcaraz che merita un discorso a sé, aver preso solo di striscio la parabola egemonica dei vari Federer, Djokovic, Nadal e Murray, per chi ha deciso di vivere di tennis è una discreta fortuna. Sinner, che non è sprovveduto, lo sa benissimo e scalpita. Intendiamoci, Jannik è un giocatore che dentro a una federazione – figuriamoci nella nostra – transita ogni morte di Papa e non si intende qui sminuire l’eccezionalità di un ragazzo che, se anche decidesse di smettere domani, avrebbe un posto assicurato nella storia del tennis azzurro. A lui, però, non basta, come non basta al carrozzone non sempre così competente che gli si è creato intorno e ciò può essere un problema.

Il recente torneo di Monte Carlo, in tal senso, è paradigmatico: vincere è sempre un gran casino. Pure se Alcaraz è di nuovo appiedato da precoci e insistenti noie fisiche e se la sua nemesi meravigliosa, Musetti, estromette Djokovic in un torneo pessimamente giocato anche da Medvedev e Tsitsipas. Insomma, quando sembrava tutto apparecchiato per celebrare il primo 1000 della carriera ecco che sbuca un Rune (qualsiasi o quasi) a dirgli di no. Forte e stronzo il giovanotto che viene dal nord, ma Wawrinka, qui al Principato, era un’altra cosa per perderci contro. Ai meno distratti non sarà sfuggita l’importanza capitale che avrebbe avuto, per Sinner, rompere il ghiaccio in un torneo di quelli che contano davvero. Perché, tra la consapevolezza di potercela fare e poi farlo davvero ci sta in mezzo il mare, ancora di più in uno sport che necessità di una convinzione nei propri mezzi al limite della sbruffoneria per domare i demoni che scatena contro.

Invece, ancora una volta, Sinner si vede costretto a ripartire da zero il lunedì successivo mentre i suoi competitor, financo Rublev, fortificano la propria autostima sollevando trofei. È ancora presto e l’età gli sorride, ma il rischio che diventi un’ossessione è sempre in agguato. Come Alcaraz, incubo in carne ed ossa, a cui i dottori potrebbero trovare il modo di dare continuità al cannibalismo potenzialmente esercitabile. Sinner, in questo momento, cammina sul confine che separa grandi giocatori e campioni. La spettacolarità non è il suo forte, una maggiore completezza tecnica è destinato ad acquisirla con il lavoro, la costanza dei risultati è svizzera e la sua personale forma di talento nel fare uscire la palla velocissima con entrambi i colpi di rimbalzo è immutabile, oltre che preziosa come un diamante. Morale, un pizzico di fortuna e, forse, si inizia a raccontare una storia molto diversa.

Occorre però ricordare che sono tanti i giocatori del passato maggiormente dotati di lui in quanto a qualità di gioco a non aver conseguito ciò che gli veniva pronosticato, sempre a proposito di complessità della disciplina, e sono più d’uno i giocatori che, già oggi, sono complessivamente più forti, con un gap tecnico-tattico che non è detto sia colmabile nemmeno da un certosino come Jannik, sempre a beneficio di chi si aspetta da lui venti Slam in bacheca. In ogni caso, l’unica impellenza vera è, per Sinner, quella di cominciare a salire sui treni buoni che gli passano davanti, perché l’abitudine a restare in stazione è poi qualcosa di molto difficile da lasciarsi alle spalle. Lapalissiano, vincere aiuta a vincere.

Teo Parini

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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