Il risultato non era particolarmente di nostro interesse dopo la partita con Djokovic, figuriamoci a valle della severa e meritata sconfitta con Sinner. Questione di coerenza. Musetti resta Musetti, quindi, in assenza di Kyrgios e con la strana parabola di Shapovalov in atto, uno dei (pochi) motivi per il quale abbia un senso accendere la tivù per guardare il tennis. Federer a parte, infatti è Federer, difficilissimo che la genia più sviluppata vada a braccetto con la costanza delle prestazioni.
È il principio per il quale a correre con gli occhi chiusi sul cornicione non è detto che si arrivi dall’altra parte nonostante il surplus di talento disponibile.
La differenza ontologica che passa tra i duellanti di ieri, Sinner e Musetti, con il primo che madre natura ha programmato per vincere quel che c’è da vincere e il secondo che, lo diciamo spesso, gioca un altro sport e va trattato alla stregua di un’opera d’arte. En passant, ieri era un affare tutto azzurro nel quarto di finale di Monte Carlo. A volte ci si dimentica in quale periodo fortunato navighi l’Italia e, soprattutto, quanto pane duro si è dovuto ingoiare negli anni da Panatta in qua. Così tanta qualità in un derby fratricida, per giunta in un contesto decisamente importante, è difficile ricordarla. A riguardo, a noi che del tennis siamo fruitori sui generis, torna in mente quale glorioso precedente l’incontro che ha visto per protagonisti tanto tempo fa due pazzoidi dal tennis meraviglioso e la bacheca vuota come Paolo Cané, Neuro il Turborovescio, e Gianluca Pozzi, il McEnroe del Tavoliere. Bellezza assoluta e nostalgica ma senza l’importanza della posta in palio di un venerdì pomeriggio al Country Club.
Provando a fare i cronisti seri, il match di ieri ha detto due cose. La prima è che Sinner, con quella odierna, ha infilato la terza semifinale di fila in un Master 1000 e alla sua età non ci sono riusciti nemmeno Federer, Nadal e Djokovic. A differenza di Musetti, è difficile che non dia sempre di sé la migliore versione possibile, che in questo momento storico non troppo fulgido significa per lui sedersi con reiterata costanza al tavolo di chi guerreggia per il trofeo in palio. La seconda è la conferma della più severa tra le leggi di tommasiana memoria, quella della famigerata prova del nove. In soldoni, la capacità di ripetere a stretto giro una prestazione maiuscola che – i più avvezzi alla disciplina lo sanno bene – è spartiacque tra coloro che ambiscono al successo finale e coloro che vivono di fiammate estemporanee. Musetti, ma non era difficile prevederlo, c’è cascato dentro con tutte le scarpe non avendo saputo recuperare il dispendio emotivo correlato alla partita vinta contro Djokovic. Uno che, benissimo che vada, ti consuma l’anima anche le rare volte in cui perde.
Per Sinner, invece, l’occasione è di quelle ghiotte. Senza Alcaraz tra i piedi perché bloccato dall’ennesima noia muscolare, dettaglio che meriterebbe un discorso a parte, senza Djokovic, senza Medvedev, peraltro mai troppo a suo agio sul rosso, e senza lo sciagurato Tsitsipas, la strada che porta al primo possibile 1000 della carriera non è certo quella che si dice proibitiva. Rune in semifinale e poi uno tra Rublev e Fritz nell’eventuale finale, sono abbondantemente alla portata di Jannik che dev’essere bravo a giocare da favorito, quindi con tanto da perdere, per rompere il ghiaccio nei tornei di primissima fascia. A distanza di quattro anni dalla cavalcata trionfale di Fognini, potrebbe essere ancora una volta il Principato a regalare le migliori soddisfazioni al nostro movimento maschile. Sinner non è (e non sarà mai) la bellezza fatta tennis ma è una solidissima garanzia, oltre che una perfetta macchina da agonismo. Insomma, siamo in buone mani.
di Teo Parini