Quarant’anni dopo l’impresa di Raffaella Reggi, e in attesa del match di finale tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz che promette spettacolo, con Jasmine Paolini l’Italia torna finalmente ad aggiudicarsi il titolo degli Internazionali di tennis a Roma. A cederle il passo, ieri, è stata la ventunenne Coco Gauff, già vincitrice Slam, in un match reso per onestà di cronaca bruttino dall’inconsistenza sulla terra battuta proprio della tennista statunitense; interprete di un tennis corri-e-tira-a-tutta così sciagurato da fare sbottare un compassato Adriano Panatta in sede di commento. “Dovrebbero imparare a giocare a tennis”, la chiosa dell’unico commentatore sponda RAI che dimostri inequivocabilmente di conoscere il gioco. Come dargli torto.
Paolini, in compenso, è stata perfetta nella tattica, studiata alla perfezione per mettere a nudo le non trascurabili falle nel gioco della Gauff, e nella sua realizzazione. Strategia di gioco, la sua, volta a non concedere ritmo ad un avversaria che, seppur a disagio sul rosso e con pochissime chance di variazioni sul tema consolidato del bazooka azionato alla cieca, quando è messa nelle condizioni di colpire forte diventa comunque difficile da affrontare. Invece, l’azzurra, che la terra battuta la conosce come le sue tasche, le ha impartito una lezione severa, frutto di un mix tra intelligenza, capacità di lettura delle situazioni e solidità nei colpi. Sempre pronta ad aggredire la seconda palla di servizio tremolante della rivale, e al contempo servendo lei stessa in maniera robusta e continua, ha finito per levarle ogni certezza ed il risultato finale ha rispecchiato la differenza di qualità tennistica ieri in campo.
Jasmine, due finali Slam perse nel 2024 anche con un pizzico di sfortuna, con Roma si assicura il titolo più prestigioso della carriera che significa almeno due cose. La prima è che i passati dodici mesi non sono stati frutto del caso come molti sedicenti esperti già sentenziavano per via di un inizio di stagione un po’ zoppicante. In mezzo, per Jasmine, la separazione dal coach storico ma per questi signori, bontà loro, evidentemente è cosa da poco. La seconda è la conferma che il lavoro svolto con competenza porta sempre a risultati sorprendenti. Jasmine, che non nasce con le stimmate della predestinata, un pezzetto alla volta e con determinazione feroce si è costruita un’architettura tennistica da campionessa che le vale la posizione di vertice nel ranking mondiale che ricopre in pianta stabile ormai da mesi. Piedi velocissimi, visione delle situazioni di gioco a trecentosessanta gradi, dritto pesante come un macigno, capacità di variazione della palla sopra la media del periodo, buona manualità. Insomma, giocatrice vera.
Molto della sua crescita tennistica passa anche per il sodalizio con la professoressa Sara Errani, insieme alla quale andrà tra poche ore a caccia del titolo del doppio. L’ultima a riuscire nella doppietta qua a Roma è stata Serena Williams, non serve dire che sarebbe un’ottima compagnia per Jasmine. Per Sarita, invece, gli aggettivi, nel corso di una inesausta carriera, sono stati già spesi tutti. Lei, singolarista da top ten, trionfi azzurri in Fed Cup e finale al Roland Garros, prima di diventare una delle doppiste più forti di sempre. E se primeggiare in quest’ultima disciplina a fianco dell’altrettanto meravigliosa Roberta Vinci potesse essere all’epoca relativamente facile, prendere Jasmine e farne una compagna vincente, elevandone al contempo la cifra tecnica, è solo l’ultimo dei capolavori di una tennista che rimpiangeremo. All’ora di pranzo, quindi, sotto al cielo di Roma lezione di tennis. In cattedra Sara Errani.
Più in generale, quando il sempre meraviglioso Panatta lamenta la poca qualità tennistica per molti dei protagonisti del tennis attuale, oltre a essere insindacabilmente dalla parte del vero, non fa certo riferimento a lei. E nemmeno al duo Sinner-Alcaraz che, nel pomeriggio che si fa sera, si appresta a contendersi il titolo degli uomini. Torneo maschile che ha visto pure la conferma di Lorenzo Musetti quale consolidato top player e non più nella sola veste di tennista (con Alcaraz) più talentuoso del seeding. Il Magnifico, prima o poi, il bersaglio grosso lo andrà a centrare. Comunque si concluda questa domenica da marea azzurra, nemmeno immaginabile solo un lustro fa, il pensiero degli aficionados più autentici non può che andare al compianto Giampiero Galeazzi che del tennis azzurro, in un’epoca di pane duro e reiterate delusioni, fu il cantore del popolo. Quello pane-salame e competenza che tanto avrebbe meritato di commentare pomeriggi di gloria italica come questi romani. Perché è sempre troppo facile salire sul carro vincente ma lo è molto di meno non arretrare mai di un centimetro quando non si vince mai e, soprattutto, tutt’intorno non c’è il sostegno di nessuno. In quello, il Bisteccone sarà difficilmente eguagliabile.
Buon tennis a tutti.