Jannik Sinner è il nuovo numero quattro del tennis mondiale. Quarantasette anni dopo quel diavolo di Panatta, un azzurro torna ad occupare la posizione che sta ai piedi del podio. Chi vuole lasciarsi andare in titoli reboanti, ora sì, ha l’occasione ghiotta per farlo. È più giustificato adesso di quando, cavalcando una fortuna sfacciata, lo stesso Sinner ha tagliato il traguardo della semifinale a Wimbledon, sconfiggendo avversari da torneo di terza fascia, i casi della vita, prima di essere regolato senza appello da Djokovic. Perché il traguardo della finale di Pechino appena agguantato con lo scalpo dell’epocale Alcaraz – torneo che se non è prestigioso per etichetta lo è, quest’anno, per un lotto di partecipanti da urlo – abbinato al best ranking di cui sopra, è incontrovertibilmente il punto più alto, alla peggio uno dei primi due o tre, raggiunto nel gioco del tennis da un atleta di casa nostra da quando a fare di conto c’è il computer. Morale, se non è l’acme poco ci manca.
In queste ore è un continuo lanciarsi in paragoni con il nazionalpopolare Adriano, la rockstar del tennis, ma, classifica a parte, è difficile mettere a confronto personaggi così differenti di due epoche che l’evoluzione della tecnologia rende peraltro lontanissime. Nessuno, tuttavia, storcerà il naso se ricordiamo che Panatta, vincitore di uno Slam e attualmente fa tutta la differenza del caso, ha condiviso il palcoscenico con tipi assai poco raccomandabili come Borg, Connors e Gerulaitis – i tre che lo precedevano in classifica nel magico 1976 – e, in generale, con avversari mediamente di qualità superiore rispetto a quelli che oggi insidiano Sinner nella corsa al vertice. Alcaraz escluso, con Djokovic lontano dalla sua versione migliore per ovvi motivi anagrafici, Medvedev che fuori dal cemento vale almeno cinquanta posizioni in meno e Zverev appiedato dalla sorte nel suo momento di maggior splendore e non ancora tornato a quel livello, Jannik può dormire sonni piuttosto tranquilli, perché ad inseguirlo non è che si intraveda all’orizzonte un McEnroe o un Lendl come invece successe a Panatta. Rune e Ruud, per citarne un paio, ma anche Tsitsipas e Rublev, sono decisamente poca roba al confronto. Che significa la possibilità concreta per l’italiano di arrivare in fondo con continuità ai tornei e, di riflesso, consolidare il ranking. Anche se, per la verità, ad oggi, escluso Alcaraz per i motivi che vedremo, non è che il bilancio nei confronti diretti con i migliori (si fa per dire) giocatori secondo la classifica sia ancora brillantissimo. Mai una vittoria con Djokovic, mai una vittoria con Medvedev, tanta fatica, dunque più sconfitte che vittorie, con Zverev e pure con Tsitsipas. Migliorerà e, inoltre, è difficile che perda gli incontri che deve tassativamente vincere per lignaggio tennistico e non è un aspetto banale.
Alcaraz, comunque, continua ad essere un’altra cosa anche se Sinner lo ha battuto in quattro occasioni su sette e in una quinta, forse la più importante, ha perso solo di un soffio sciupando un match point a New York nel 2022. A chi sembra una contraddizione in termini è perché mastica poco di dinamiche tennistiche, giacché la storia della disciplina che fu pallacorda è piena di esempi simili, con il giocatore più dotato e anche più vincente che si trova a soffrire un avversario in particolare, per quelli che sono i mutui incastri tecnico-tattici che si instaurano in un match e che possono tranquillamente risultare sfavorevoli al più blasonato dei due. Per chi se lo ricorda, Wayne Ferreira fu certamente un buon giocatore ma in senso assoluto non così tanto virtuoso da giustificare una certa predilezione nel battere Pete Sampras, un califfo. Eppure successe spesso, con il sudafricano capace di imporsi in quasi il cinquanta per cento delle occasioni (sei su tredici, per gli amanti dei numeri). Alcaraz, nell’affrontare l’italiano, incappa in due problemi riconoscibili. Jannik è l’unico giocatore in attività in grado di sostenere il ritmo indiavolato dello spagnolo nello scambio. La velocità di crociera di Sinner tende asintoticamente a quella di Alcaraz che è marziana, e non è una blasfemia, con quest’ultimo che non è poi così tanto abituato a gestire un avversario che, in quanto a presa del tempo, sia in grado di rendergli quel tipo di pariglia. Sinner non ha mano educata ma in compenso di pietra lo è di sicuro e sul bombardamento è docente universitario.
Il secondo motivo, invece, è più di natura caratteriale, oltre che una diretta conseguenza del primo. Carlitos, va ricordato, ha due anni di meno e non sono pochi a quell’età e pecca ancora un po’ di superbia come solo i più grandi interpreti, conscio di possedere un tennis con cui osservare tutti dall’alto. Quando Sinner gli resta in scia, infatti, perde un po’ la trebisonda come se ancora non accettasse l’idea di non riuscire a scrollarsi tutti da ruota – per usare una metafora ciclistica – già al primo scatto. Ma anche il connazionale Alberto Contador, il principe dello scatto in salita, aveva ben chiaro in testa che ci sono giornate non proprio favorevoli nelle quali è necessario armarsi di pazienza e sporcarsi le mani nel fango. Winning ugly – vincere sporco – come teorizzato da uno stratega vivente come Brad Gilbert. Jannik, in questa prima parte di carriera, tende a destabilizzarlo e, superfluo dirlo, è un grandissimo merito. Che riesca sempre a fare partita pari, quindi, non è affatto una sorpresa. Lo sarebbe e pure grossa, invece, se già da oggi pomeriggio riuscisse a essere competitivo anche contro il russo Medvedev, uno sgraziato almeno quanto efficace, che gli ha proposto grattacapi fino ad ora irrisolvibili. La solita questione degli incastri summenzionati, Daniil difende come solo Gentile su Maradona seppe fare, che giustificano lo zero a sei nei primi sei confronti diretti e una pessima sensazione di impotenza appiccicata sulla pelle.
Tra poche ore (finale contro Medvedv in programma alle 13.30 di oggi, diretta su Supertennis, canale 212 di Sky e 64 del digitale terrestre), in ogni caso, avremo la possibilità di valutare l’eventuale cambio di tendenza e se Sinner, con il suo staff, hanno trovato le contromisure.
Tornando al traguardo raggiunto, non è davvero il caso di fare gli schizzinosi: Sinner mai sarà, per genetica e per (minor) talento, l’entusiasmo travolgente di Panatta e del suo tennis dalla bellezza abbacinante, ma è lo stesso una benedizione per il nostro movimento che ha bisogno come l’aria di vantare una frequentazione continuativa ai piani alti. Due le certezze. La prima è che difficilmente lo si vedrà tirare tardi in qualche esclusivo club della capitale a una manciata di ore da una partita importante. La seconda è che, se la priorità di Adriano fu quella di scongiurare il rimpianto di aver sacrificato troppo dei suoi anni migliori per la causa del tennis, quella di Sinner è di guardarsi indietro senza poter dire di non aver fatto il possibile per diventare il più forte di tutti. Da appassionati della vita e delle sue innumerevoli sfaccettature non ci sentiamo di condividere, e di auspicare per un ventenne, questa sua linea integerrima ma da uomini di tennis non possiamo che essergli riconoscenti.
Con l’allineamento contemporaneo di alcune situazioni favorevoli, evenienza niente affatto remota, Sinner ha la possibilità di eguagliare Panatta in un aspetto ancora più importante del numero quattro messo a fianco del nome. Evitiamo di verbalizzarlo ma solo per una mera questione di scaramanzia. Perché non succede, ma se succede…
di Teo Parini