Ridendo e scherzando, Simone Bolelli ne ha compiuti trentanove, passa il tempo. Il bello è che la sua carriera è tutt’altro che conclusa, considerato che la stagione in corso gli ha portato in dote due finali Slam in coppia con Vavassori, a Melbourne e a Parigi. Hai detto niente. Sì, perché ad un certo punto Simone ha fatto una scelta, a conti fatti, azzeccatissima, quella di mollare il singolare per dedicarsi a tempo pieno alla disciplina del doppio. Prima con Fognini, con il quale ha trionfato agli Australian Open, e ora, appunto, con Wave strappando i risultati lusinghieri di cui sopra. Insomma, Simone si è dato due chance: allungarsi la carriera lasciando un segno profondo.
Non che da singolarista fosse scarso, intendiamoci, ma un tennis arioso e più bello che funzionale non gli ha consentito di vincere nemmeno un torneo del circuito maggiore o di fare l’ingresso in Top 30. Stranezze del tennis contemporaneo, sport maledetto che finisce spesso per premiare attitudini conservatrici e sparagnine più che il talento, inteso come capacità di rendere semplici le faccende più complesse. Giocatore, detto con tutta l’ammirazione del caso, più attrezzato per gli highlights che per gli almanacchi, ma lo stesso importante per il movimento azzurro, al quale ha saputo dare una stampella negli anni di pane durissimo. Prima dell’avvento dei Sinner e dei Berrettini.
Bolelli – che a qualcuno ricordava financo Federer, abusando un po’ troppo dell’ottimismo – ricalca in modo piuttosto similare la parabola di un altro grandissimo giocatore italiano che, anch’esso, avrebbe forse potuto sfruttare meglio doti balistiche sopra la media, Camporese, l’eroe di Rotterdam. Stesso dritto deflagrante, Simone esibisce un rovescio old style ad una mano, esteticamente affascinante ma talvolta ballerino nel rendimento e un servizio robusto ed efficace che è affidabile ancora di salvezza. Il tutto condito da una mano sensibile il giusto. Se la mobilità non è mai stata il suo forte, al pari della risposta, in compenso l’attitudine genetica aggressiva lo ha portato a sviluppare un buon gioco di volo che ora, dopo anni di frequentazione del doppio, è pure migliorato. Insomma, uno di quelli che se passa in tivù ti fa venire voglia di investire un paio d’ore nel tennis, considerata la situazione contingente non propriamente idilliaca in quanto a bellezza dei suoi attori.
Si sperava, sulla scia dei successi stagionali, che Bolelli riuscisse a dare all’Italia l’oro olimpico di Parigi ma in terra di Francia non è proprio andata come avremmo sperato. Tuttavia, a restituirgli il sorriso ci ha pensato il torneo di Pechino appena vinto (il terzo titolo del 2024, sempre a fianco di Andrea) che sta a significare la quasi certezza matematica di qualificazione alle ATP Finals per la coppia azzurra che in questo momento è terza nella Live Race. Una classifica che prende in considerazione solo i risultati dell’anno in corso e che, pertanto, certifica la competitività della nostra migliore coppia. Coppia che, per il 2025, ha nelle corde la fin’ora solo sfiorata vittoria in un Major che, per quanto fatto vedere, si meriterebbe tutta.
Tornando agli anni da singolarista, Simone ha toccato la posizione numero 36 del ranking mondiale, che in quel momento significava essere il numero uno azzurro a testimoniare la diversità di quei tempi difficili, e disputato una finale ATP a Monaco di Baviera, persa con Gonzalez – il Nando, mano di pietra, per chi se lo ricorda – e, per quanto detto poc’anzi, è davvero poco per uno competente come lui. Ma tant’è, il tennis è davvero qualcosa di complesso.
Detto ciò, nell’anno dei quaranta ormai alle porte, la certezza è che il ragazzo di Budrio sarà ancora protagonista nel circus con rinnovata passione e non può che far piacere a chi, come noi, un occhio di riguardo per la bellezza sul playground lo ha sempre e Simone Bolelli è membro del ristretto club degli esteti del tennis. Vi pare poco?