Pubblichiamo l’estratto di una denuncia presentata nel luglio scorso dall’ex sindaco, prosciolto settimana scorda dal Tribunale di Milano
SEDRIANO – A una settimana dall’assoluzione di Alfredo Celeste e Marco Scalambra, e della condanna di Domenico Zambetti ed Eugenio Costantino a Milano, la battaglia dell’ex sindaco di Sedriano- che resta pur sempre il primo comune lombardo sciolto per infiltrazioni mafiose- non si ferma.
Perché all’assoluzione di Celeste fa da contraltare il fatto che lo scioglimento disposto dal Ministero degli Interni è stato confermato sia dal Tar che dal Consiglio di Stato. Ma ovviamente, la ferma convinzione di Celeste è che non ci siano elementi tali per corroborare una decisione che resta, ovviamente, molto grave e lesiva dell’immagine non solo di Celeste, ma della comunità nel suo insieme.
Siamo perciò in grado di pubblicare l’estratto di una denuncia presentata nel luglio scorso da Alfredo Celeste alla Procura della Repubblica di Milano, nella quale la parte più interessante- che pubblichiamo integralmente- è quella in cui l’ex sindaco smonta, una per una, le accuse mosse dal Ministero degli Interni.
La battaglia di verità di Celeste, insomma, non si è certo fermata qui.
RTN
Lo scrivente è stato Sindaco del Comune di Sedriano, in provincia di Milano, in seguito alle elezioni amministrative del 2009 ed è stato anch’egli, quindi, uno dei soggetti interessati da un provvedimento di scioglimento del consiglio comunale, intervenuto nel novembre 2013.
Lo scioglimento purtroppo è stato basato su una relazione infarcita di errori, omissioni e fatti contrari al vero.
Quanto sopra è già emerso in sede giudiziaria, ed emergerà compiutamente al termine del dibattimento nel procedimento penale che vede chi scrive imputato del reato di corruzione.
Ma infarcite quantomeno da inesattezze sono parimenti le tre pagine che illustrano l’attività dei commissari a Sedriano nella relazione di cui in oggetto ( pag. 60-63).( rectius 64-67).
In particolare voglio sottolineare i seguenti punti:
– non corrisponde assolutamente al vero che l’inchiesta giudiziaria (o meglio l’attività di indagine avviata dalla parte pubblico ministero) abbia fatto emergere un’intesa tra alcuni amministratori pubblici ed esponenti delle locali consorterie;
– non corrisponde al vero che vi sia un imprenditore locale che secondo l’accusa abbia svolto un ruolo di collegamento tra esponenti delle locali cosche e gli amministratori;
-non corrisponde al vero, anche sempre secondo l’accusa, che a tale imprenditore fossero stati promessi lavori di ristrutturazione di un manufatto comunale;
– non corrisponde al vero che il settore degli appalti sia risultato soggetto a gravi infiltrazioni e che, nello specifico, due società, vicine ad ambienti malavitosi sarebbero risultate destinatarie di trattamenti di favore o di agevolazioni non dovute;
-non corrisponde al vero che vi sia stata una società legata ad ambienti criminali che, grazie a procedure illegittime, abbia gestito la manutenzione ordinaria e la riparazione dei beni del patrimonio comunale;
-non corrisponde al vero che siano state sostituite le due ditte individuali che avevano ottenuto l’appalto per la manutenzione del verde pubblico;
-l’ignoto estensore si è dimenticato, in relazione ai lavori della cd. “area feste”, che i collaudi svolti dalla mia amministrazione erano stati positivi per i primi due stralci, ma non così il collaudo del terzo stralcio;
-non corrisponde al vero che il collaudo dei primi due stralci fosse stato eseguito in modo non corretto, al punto che le strutture realizzate non sarebbero utilizzabili e verserebbero in una situazione di grave degrado (in realtà i commissari non hanno effettuato alcun tipo di manutenzione della struttura);
-non corrisponde al vero che i lavori eseguiti per il centro commerciale Bennet (definito impropriamente “in parte coperto”) siano stati eseguiti in violazione del codice degli appalti: è stato confermato anche in sede penale che i lavori interessati all’evidenza pubblica sono stati correttamente appaltati e posti in essere;
-non corrisponde al vero che la convenzione urbanistica del P.I.I. Villa Colombo prevedesse l’impegno del privato a ristrutturare la villa storica ceduta al Comune;
-non corrisponde al vero che l’amministrazione per tale convenzione avrebbe introitato 600.000,00 euro per oneri di urbanizzazione e a titolo di conguaglio;
-non corrisponde al vero, e sarebbe stato comunque palesemente in contrasto con qualsivoglia normativa, che il privato potesse scegliere, senza alcuna procedura di evidenza pubblica, chi avrebbe dovuto ristrutturare la villa da cedere al Comune: qualsiasi studente di diritto/ giurisprudenza, sa benissimo che trattandosi di un’opera di urbanizzazione in base alla normativa vigente deve seguire la procedura pubblica, e in più – essendo la villa in questione sottoposta al vincolo della Sovrintendenza alle belle arti – l’impresa avrebbe dovuto essere munita di particolari autorizzazioni e capacità;
-non corrisponde al vero che l’area da cedere al Comune e la volumetria da costruire fossero collegate a valori di lavori relativi alla costruzione di un Mac Donald’s (se così deve intendersi un passaggio che appare talmente estraneo a qualsiasi riferimento di fatto o normativo da risultare a malapena comprensibile);
-non corrisponde al vero che il 3 agosto 2013 fossero stati avviati dal privato dei lavori alla Villa Colombo, la quale non è stata mai oggetto di alcun intervento.
Ci si permette di sottolineare inoltre che i commissari che hanno gestito il Comune di Sedriano siano stati talmente preoccupati degli effetti della sentenza del TAR Lombardia -Milano del 22.10.2013, da non costituirsi neppure nel giudizio di appello davanti il Consiglio di Stato. E questo benché la costituzione del Comune con il deposito delle previsioni del nuovo PGT in approvazione (confermative di quanto già previsto nel P.I.I.) avrebbe comportato il superamento dell’unico motivo di ricorso accolto dal T.A.R. – meramente procedurale.
Per inciso il contenzioso è terminato con un accordo “transattivo” tra privato e amministrazione comunale che lo scrivente ritiene talmente ai danni dell’amministrazione da meritare l’invio alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti.
Non si vuole in questa sede ricordare il principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza, ma si rileva che appare assolutamente fuori dal nostro ordinamento il considerare le affermazioni della pubblica accusa come automaticamente veritiere ed esatte solo per via della parte da cui promanano, senza tener conto in alcuna maniera delle prove che invece emergerebbero da una semplice lettura critica e completa degli atti e dei documenti.
Si sottolinea tale aspetto perché l’incipit della relazione si basa su una frase altamente e gravemente diffamatoria, allusiva e insinuante : affermare che vi sarebbe stata un’intesa con le locali consorterie vuol dire infatti affermare che questo già Sindaco fosse stato a conoscenza di un rapporto di amministratori con associazioni di tipo mafioso (a prescindere dalla effettiva esistenza di tale rapporto): a ciò non arriva neppure il pubblico ministero il quale , infatti, non contesta a chi scrive l’aggravante di cui all’art 7 D.L. 13.05.1991 n. 152, ma esclusivamente l’art 319 c.p.
Per tutte queste ragioni si chiede di conoscere chi ha materialmente esteso questa parte della relazione per poter agire nei suoi confronti davanti al magistrato ordinario, perché la gravità degli errori e delle affermazioni non rispondenti al vero non può essere sottovalutata né trascurata, considerato anche che tale scritto va al nostro Parlamento, il quale non merita di ricevere false ed errate informazioni.
Alfredo Celeste