E’ di venerdì la notizia della morte di due detenuti per arresto cardiaco e di alcuni detenuti che sono dovuti ricorrere alle cure dei sanitari in luogo esterno di cura per aver avuto seri problemi di salute nella giornata scorsa presso la Casa Circondariale di Milano San Vittore. Lo denuncia il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, per voce del segretario della Lombardia Alfonso Greco. “Nella mattinata odierna, intanto, la Polizia Penitenziaria sta effettuando una perquisizione straordinaria al fine di comprendere se sia stata introdotta all’interno della struttura dello stupefacente o altro che abbia potuto provocare le problematiche in evidenza”.
Donato Capece, segretario generale del SAPPE, si riserva ogni commento sul fatto specifico, in attesa di conoscere gli esiti degli accertamenti in corso, ma esprimo cordoglio per le due vittime: “Purtroppo le persone che muoiono durante la detenzione sono una costante drammaticità, nonostante il prezioso lavoro della Polizia Penitenziaria. Il contesto da cui partire è importante per comprendere l’influenza del carcere in un gesto così drammatico. Dal 2002 a oggi, ad esempio, i suicidi costituiscono il 55% delle morti totali, mentre i deceduti per cause ancora da accertare ne rappresentano il 22%.
L’overdose – causata da droghe, psicofarmaci, alcol o dal gas delle bombolette usato a scopo stupefacente – ha ucciso quasi due detenuti l’anno nell’arco di quasi 25 anni. I tassi di suicidio tra detenuti e agenti di Polizia Penitenziaria sono allarmanti: i detenuti si suicidano circa 18 volte più della popolazione libera, mentre gli agenti lo fanno con una frequenza 4 volte superiore rispetto alla media nazionale. Ignorare il disagio profondo che attraversa le carceri significa alimentare un sistema che produce sofferenza e perpetua violenza”. Per il leader del SAPPE, preziosa è l’opera delle donne e degli uomini appartenenti al Corpo, che sventano quotidianamente tentativi di suicidi tra i detenuti: “questi fatti, inequivocabili, dimostrano che, anche in questi anni non semplici, le donne e gli uomini del Corpo hanno onorato il loro motto: “Despondere spem munus nostrum”. Tutto ciò, anche a fronte dei compiti, sempre più vasti, complessi e impegnativi, che nel corso di questi anni si sono aggiunti. In questi anni, difficili e complessi, abbiamo vissuto e operato stretti, da un lato, dalla domanda sempre più pressante che nasce dal Paese di maggior giustizia e maggior sicurezza, dalle difficoltà di bilancio, dalla necessità di garantire un livello dignitoso di vita ai detenuti, e, dall’altro, dalla volontà, non solo politica, ma anche e soprattutto emotiva, di esaltare sempre più l’immagine del Corpo, di far conoscere al Paese che esso è cresciuto, cresce e crescerà, per raggiungere quei livelli di eccellenza che gli competono”.