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‘Santa Maria della Croce’. Di Emanuele Torreggiani

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STROPPIANA – Passato il Ticino, che da quassù più non si scorgono le stelle riflesse sulle acque corridore, imbragati come siamo tra le alte impennate del ponte autostradale, sul filo dei centosessanta dentro la notte che arriva e la bruna pianura che s’allarga al tramonto dell’Ovest, poi, già noi in terra forestiera, abbordiamo per Alessandria. Direzione Casale Monferrato. Oltre il Sesia le terre si fanno a livella e s’intenda, in quel campo piano, il lavoro indefesso di generazioni in generazioni a schiena curva, taluni piagata, intorno il riso ed il suo trapianto, per quei due secoli precedenti la venuta del possente John Deer a tracciare solchi. Si disse nell’abitacolo di un Casale Monferrato capitale occidentale dell’Impero Romano d’Oriente, quella Bisanzio, per una stagione breve e perduta e di tutte queste plaghe a boschi e boschi e di aquile nel cielo a volta concava.

Già s’intravvedono le colline del Monferrato che, negli anni del nostro noviziato, frequentammo con l’assiduità della passione tra le pagine di Cesare Pavese (l’inferno si sconta vivendo) e del grande, grande Beppe Fenoglio che più di tutti ci rimane impiantato nel cuore a vitigno aurorale. E nelle colline, a mezza costa, le luci di casolari in cui immaginiamo, noi abitui di città, già il desco sparecchiato e la stufa in economia notturna. Stroppiana, lì dove siamo ad andare, ci viene indicata dalla signorina del navigatore a sei miglia e trecento iarde. Per un vezzo mio lo tengo sul calcolo imperiale, per dire che il viaggio, così, illude d’infinito. Stroppiana calcola millecinquecento anime ed il nome sta a dire strada piana.

A farci mente ai suoni che dal latino trapassano nei volgari che dal Medioevo accompagnano, siamo arrivati. Infatti, al rettangolo euclideo di piazza Libertà, lascito del neo americanismo, parcheggiamo sul pesante lastricato che vide il passo di buoi, asini e cavalli sferranti, e del sole riflesso nel luglio canicolare. Adiacente l’ingresso della residenza Municipale, la Biblioteca. Scritta in un maiuscolo palatino sulla facciata umbertina. Un portone di quercia sovrana s’apre all’urna di scaffali in cui i tomi, rivestiti della divisa di carta, paiono centinaia di sentinelle schierate sull’attenti. Ed il cuore ci gonfia di immediata meraviglia alla presente schiera seduta in compostezza bella e con l’abito della festa. Gli anni di quei volti sono i nostri riflessi tra dieci o venti, se il buon Dio lo vorrà e beninteso grazie comunque. E ciascuno, sulla gamba accavallata, tiene in posa di gran cura il volumetto: “Santa Maria della Croce – Uno scrigno devozionale nella storia di Stroppiana”, scritto dal nostro Felice Sgarella, architetto e scrittore di cose storiche per quel culto della terra abitata da cui noi si venne ed un giorno si tornerà, a compimento di un’ellissi di cui altro non saprei dire. Santa Maria della Croce, chiesetta campestre sulla direttiva Vercelli-Casale-Alessandria.

 

Un fazzoletto di terra benedetta ed innalzata a Lei, Avvocata nostra, e già noi, in quel sottotitolo ci batte il cuore cogliendo, nello scrigno, le mille e una parola bisbigliate nel silenzio dell’anima, un diario orale che solo Lei, Figlia di suo Figlio, tiene nel cuore per l’eterno consiglio. Tra il popolo presente si coglie un’emozione antica, e così anche tra i ragazzi foresti che hanno accompagno il nostro autore magentino. Il quel dirà di avere tra il suo sangue in circolo una pinta del piemontese che gli viene dalla bisnonna e collegherà poi, con quell’umiltà che lo contraddistingue, nel circolo della patria tutto quel gran arrembaggio che fu del Risorgimento il secolo. Una cascata di sangue che accomuna. Nel frattempo, Santa Maria della Croce, una minuscola chiesa, quale lo può essere una stella del cielo, segna la via maestra. Un giorno ci torniamo, ci siamo detti risalendo in auto per una casa cantoniera riattata a osteria, e accendiamo un cero. In ginocchio, ha detto uno di noi. Sicuro.

 

 

(Santa Maria della Croce, di Felice Sgarella, edizioni La memoria del Mondo)

 

E.T.

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