In numerose scuole del nostro territorio durante questo anno scolastico sono stati attivati corsi e progetti legati alla Robotica, grazie ai fondi messi a disposizione dal PNRR- Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – con il DM 65/2023 relativo alle “Nuove competenze e nuovi linguaggi”.
Per capire allora quale senso ha la Robotica nella nostra scuola primaria e secondaria e che spazio ha oggi questo settore nella didattica inclusiva abbiamo sentito il parere di un esperto, il professore di Pedagogia Sperimentale dell’Università di Ferrara Giorgio Poletti.
“La robotica sviluppa il pensiero creativo e la creatività perché i ragazzi si abituano ad approfondire l’argomento, l’oggetto, con modalità con cui si affronta un problema, cioè analizzano quali sono le risorse e le competenze disponibili, cercano di vedere più di una soluzione e provano a raggiungerle, una alla volta”, spiega il prof. Poletti.
Qual è allora la forza della robotica a scuola? Tra le tante valenze “ha la capacità di sviluppare il pensiero critico e il problem solving perché i ragazzi vivono la tecnologia ma possono anche soffermarsi su di essa, per ragionare sulle sue potenzialità, perché la robotica obbliga a capire come funziona un oggetto”.
Può sembrare strano parlare di robotica nella didattica, ma “in realtà si parla di continuità delle competenze, certo non nei contenuti. Basti pensare allo smontaggio del robot che serve per capire la struttura e di come funziona l’oggetto. Certamente c’è una differenza della metodologia tra scuola dell’infanzia e primaria. Si fa robotica per apprendere ed è un apprendimento per errori”.
In questo ambito gli errori, che spesso vengono tanto temuti dagli alunni, sono invece strumento per capire, come spiega ancora il professore: “Si va avanti se si intuisce o capisce dove si è sbagliato e allora si prova a trovare un’altra soluzione E le competenze interessate variano rispetto alle età, andando dalle “spaziotemporali nei bambini piccoli allo sviluppo di quelle logico-tecnologiche nei più grandi. Si può inoltre passare dall’algoritmo all’approccio descrittivo, perché l’algoritmo non tiene conto dell’esecutore, un po’ come una ricetta che non tiene conto di chi la fa”.
Perché si parla di sperimentazione nella scuola? Perché, come aggiunge il prof. Poletti, “la robotica non deve essere considerata un’occasione e basta, ma uno strumento didattico per produrre anche contenuti. In questo senso la scuola diventa base, una palestra per le analisi e la scoperta di potenzialità personali e della classe”. Perché anche le dinamiche relazionali tra alunni hanno la loro importanza. Come nel gioco. E il parallelismo è concreto: “La robotica può essere considerata un po’ come il gioco che ha bisogno di materiali e regole per raggiungere un obiettivo, quindi, bisogna ragionare per arrivare alla soluzione. La robotica permette anche lo sviluppo del dialogo, delle interazioni per l’osservazione dei materiali; l’interazione con il robot può procedere, inoltre, con compiti di Storytelling”. Ecco la multidisciplinarietà che entra in gioco, basata sulla narrazione: “Il cervello funziona per narrazioni. La narrazione è il pensiero, perché si narra sempre qualcosa a qualcuno anche se si è da soli”.
Anche a proposito di inclusione la robotica rappresenta un’opportunità: “Un’ottima opportunità per l’inclusione di tutti, perché è una modalità che fa sviluppare alcune competenze e mette in campo le differenti capacità di ognuno. Non dimentichiamo che un robot per funzionare ha bisogno di tante competenze, tante fasi, tanti ruoli, che devono saper collaborare”. La robotica a scuola forse mantiene il suo fascino proprio perché permette anche di andare dentro gli oggetti nei quali di solito non si mettono mani e non si mettono occhi: “Poter smontare per capire come funziona un robottino e quali relazioni ci sono tra le parti è una bella scoperta che stimola la curiosità e la logica.”
Laureato in Matematica presso l’Università di Ferrara dove oggi è docente di Pedagogia Sperimentale, Giorgio Poletti ha operato al CERN (Centro Europeo per la Ricerca Nucleare) di Ginevra e ha la ricerca e l’innovazione nel sangue. Era presente proprio quando all’inizio degli anni ’90 è iniziata la rivoluzione nella comunicazione informatica per la condivisione dei documenti, quando venne presentato l’antesignano di Internet.
Nel nostro incontro con lui al termine di un progetto all’IC “C. Fontana”, non poteva quindi mancare un altro argomento cardine di questo presente veloce: cosa pensa dell’intelligenza artificiale? “E’ una grande potenzialità di gestione e sviluppo del paradigma del dialogo perché si può usare in modo stupido ma ti obbliga a chiederti se sei soddisfatto. Il dialogo, quindi, diventa allenatore del pensiero critico e bisogna proprio abituare alla domanda e al pensiero critico perché altrimenti si corre il rischio di delegare il pensiero”.
(nella foto al centro il prof. Giorgio Poletti con l’animatrice digitale Barbara Bonfanti, le insegnanti della scuola primaria dell’IC Fontana e gli esperti Marco Meli e Claudio Gasparini).