ROBECCO E’ tutto racchiuso in poche parole: cercare di invecchiare.. senza diventare adulti. Già, sembra così facile (a parole).
Lo scrisse Jaques Brel in uno dei suoi testi più belli e importanti: “c’è voluto del talento per riuscire a invecchiare senza diventare adulti“. E anche in questi altri versi, da poeta inquieto e ribelle, vi si può leggere il suo messaggio rivolto ad ognuno di noi: “Vi auguro sogni a non finire,la voglia furiosa di realizzarne qualcuno;vi auguro di amare ciò che si deve amare e di dimenticare ciò che si deve dimenticare;vi auguro passioni,vi auguro silenzi;vi auguro il canto degli uccelli al risveglio e risate di bambini;vi auguro di resistere all’affondamento,
E così una sera di gennaio, di sabato, in una sala del celeberrimo Glicine di Carpenzago-.dell’iper celeberrimo Beppe Barettoni- la classe 1973 di Robecco sul Naviglio (quella che nei nostri paesi, da decenni, noi provinciali del Ticino chiamiamo ‘leva’) si è ritrovata a ‘elaborare’ la festa dei ‘primi’ 50 anni.
E sono arrivati a decine, sotto l’incessante onda dei messaggini di Giovanni Jerry Gervasi, coscritto 1973 che conoscono più o meno in ogni regione d’Italia (pure in Molise e Basilicata, per intenderci..).
Si è mangiato, bevuto, sorriso (tanto), ballato, il coscritto Danilo che danzava tra i tavoli con Prosecco e una giacca che riscriverà la moda dei prossimi 50 anni, mister Simone che pontificava alla Marcelo Bielsa, c’era pure Donato che non è Abatantuono in Eccezziunale Veramente ma un coscritto che molti non vedevano da decenni. E’ il bello delle ‘leve’… e dell’invecchiare.
Come successo in un film epico ma semi sconosciuto, rilegato nelle parti minori dei palinsesti televisivi: Fandango, anno 1985, con Kevin Costner da ragazzino.
here’s a time that I remember, when I did not know no pain
When I believed in forever, and everything would stay the same
Una strada assolata che sembra infinita, senza un orizzonte che aiuti a capire dove andare. Su questa linea simbolica, fatta di curve e ostacoli, si muove un gruppo di ragazzi, i Groovers, appena diplomati all’università di Austen e già con un’esecuzione pendente sulla testa – l’arruolamento in Vietnam. Reynolds coglie questo frangente di vita, dilata un momento che di solito scorre rapido e invisibile, a tal punto che potrebbe benissimo essere un’illusione; lo vuole fermare in un gesto – un viaggio attraverso il Texas sulle tracce di un certo Dom: una figura mistica che assume connotazioni umane, e che è fondamentale per compiere quel rito di passaggio che consegnerà i Groovers a un’età di consapevolezze e responsabilità.
Perché Fandango è proprio come la danza stessa che dà il titolo al film, un movimento vivace dal ritmo variabile che sospende la percezione della realtà: è quella tensione costante tra ciò che è stato e come viene immaginato, tra il ricordo di un amore terreno e la sua proiezione metafisica, in un campo di fiori esplosi di colore o in un deserto bianco, dove due corpi seminudi si incontrano ancora per una volta per poi allontanarsi, chissà se per sempre. È un luogo di fantasia e malinconico a cui si anela e che resta un privilegio. E Costner ne è il simbolo, lo abita, non se n’è mai andato da lì, aspirando a essere immortale come James Dean: seduto sulla collina brinda ai suoi amici che, ognuno a suo modo, si avviano alla vita.
A Robecco non ci sono i Groovers, figurarsi a Carpenzago, ma c’è la stessa tensione. E magari anche un Dom Perignon seppellito dalle parti del Ticino. Certo, i classe 1973 hanno il doppio dell’età degli attori di Fandango (le ragazze, in realtà, sembrano tutte del 1993) ma è come disse Brel…O no?
Ma.. tutte queste info chi ce le ha passate? Beh, che dire. Un infiltrato…
[Gardner brinda e lancia la bottiglia di Dom nel canyon]