mi chiamo Nicola Cavallaro, sono il papà di T., studente al primo anno presso la “4 Giugno” in Magenta. Sono un padre separato, attualmente impossibilitato a lavorare, per questo motivo Tommaso ha passato quasi tutto il periodo di quarantena con me. La mamma lavorava. Vivo a Milano, dove molti coetanei e ragazzi in età scolare sono nella stessa situazione. Ho potuto però constatare che qui, dove abito, quartiere della prima periferia della città, l’approccio agli studenti da parte dell’amministrazione scolastica è stato ben diverso da quello riservato ai ragazzi della classe di mio figlio.
Negli ultimi quasi tre mesi i nostri ragazzi hanno avuto accesso alla possibilità di fare lezione solo per tre o quattro ore a settimana su un totale di quasi trenta nel periodo regolare. Qui dove vivo fanno almeno tre ore al giorno in varie fasce orarie certo, ma tra le 8 e le 17 almeno tre ore. Mio figlio e i suoi compagni quando va bene una. Vorrei chiedere il motivo di tale disuguaglianza. Forse che le scuole di città sono migliori di quelle di provincia?. O gli insegnanti di città sono più competenti di quelli di provincia?. Onestamente mi rifiuto nel modo più categorico di crederci. In realtà dovrei rifiutarmi nel domandarmelo. Purtroppo però sono qui a chiederlo a lei e con lei all’istituzione che rappresenta.
Nell’arco di oltre due mesi e mezzo la situazione è la seguente:
- due piattaforme
- quattro insegnanti che tengono un’ora di lezione, uno due a settimana. Uno di questi l’insegnante di religione
- gli insegnanti di italiano/storia e geografia non pervenuti.
- ogni professore ha un suo modo di intendere il tutto immagino quindi ogni giorno si cerca nel registro, nella bacheca, nei profili degli insegnanti per avere delle direzioni
Personalmente trovo i metodi attuati poveri ed estremamente riduttivi. Mi permetto di citare quanto segue:

Articolo 33 della Costituzione
L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.
La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
E` prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale.
Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.
Le conclusione che ne traggo è la seguente: gli insegnanti di mio figlio si appellano alla prima parte dell’articolo citato sopra. Senza però metterlo in pratica. E’ diventato quindi “diritto” a non insegnare. Mi chiedo se qualcuno che ha fatto un esame di Stato, innumerevoli concorsi per l’abilitazione all’insegnamento, non si debba in questo periodo difficile fare delle domande. Forse che adeguarsi ai tempi sia cosi difficile?. Dover plasmare una nuova modalità, cambiare il metodo impossibile?.
In tutta sincerità le dico che se i lavoratori della filiera agro alimentare avessero pensato allo stesso modo oggi i problemi sarebbero ben diversi. Non avremo avuto da mangiare. Molti di questi andando a lavorare per stipendi non esattamente stellari e mettendo in gioco anche la propria salute.
Dato per scontato che la didattica a distanza non è democratica e non è uguale per tutti. So che tanti genitori hanno fatto grandi sacrifici per riuscire a fare in modo che i propri figli potessero accedere alla rete. Questo per dar loro la possibilità di avere un barlume di direzione scolastica nella vita dei loro figli da parte di coloro che che dovrebbero essere i loro insegnanti i quali hanno un ruolo cruciale nell’esistenza delle donne e degli uomini di domani.
Oggi la didattica a distanza è una necessità e non una scelta. Ma quale didattica a distanza si sta facendo? Si tratta di fare video lezioni incalzare gli alunni a suon di crocette dando dei voti
Forse no, come nemmeno è possibile pensare di fare qualcosa di tradizionale in una scuola che deve necessariamente essere innovativa.
Non si può pretendere che un bambino o un ragazzo resti attento davanti allo schermo come in un’aula. Il “videonozionismo” è la morte di ogni pedagogia. Passare dalle lezioni frontali alle video-lezioni online è una forma di tortura certo. Il problema non è la tecnologia ma il modo con cui la si usa. Ciò che conta è il metodo: l’insegnante deve avere quello. Ma oggi deve necessariamente usare la tecnologia e sapersi adattare.
La scuola è arrivata impreparata è vero ma la storia dimostra che con volontà e un pò di estro molte cose che erano impossibili un tempo, oggi non lo sono più.
Oggi questo estro e questa volontà da parte del corpo docente che segue la classe di mio figlio non lo vedo.
Il diritto allo studio è uno dei diritti fondamentali ed inalienabili della persona, sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU.
L’istruzione è essenziale per lo sviluppo della personalità umana e per il rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali; essa deve promuovere la comprensione, la tolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi e deve favorire l’opera delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace.
Le risparmio l’articolo 34 della Costituzione che certo conosce per non dilungarmi oltre
Un padre in cassa integrazione