‘Anche numeri su morti non riflettono bene realtà, chi viene ucciso realmente dal virus potrebbe essere un 10-30%’
MILANO “Lo raccomando da tempo, dall’inizio praticamente: non guardiamo più ai numeri delle infezioni Covid, perché questi sono destinati a continuare ad aumentare. Ed è un dato che importa poco, perché questi virus sono estremamente contagiosi. Quello che diventa un grande problema è se il numero di infezioni si traduce in un impegno per il Servizio sanitario nazionale e soprattutto in un numero di posti occupati in terapia intensiva che aumentano. Ma non sempre ciò succede, né da noi né da altre parti dove le nuove sottovarianti” di Sars-CoV-2 “si stanno diffondendo. E leggendo il numero dei morti Covid va tenuto conto che vanno interpretati. Quelli che muoiono davvero di Covid nelle terapie intensive potrebbero essere il 30% ma anche meno, secondo alcune stime il 10%”, del dato che viene diffuso periodicamente. E’ l’analisi di Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs. Il dibattito è sotto i riflettori da tempo e c’è già chi chiede al neoministro della Salute di intervenire sul bollettino Covid quotidiano, o lancia appelli per la sua eliminazione. “Il bollettino oggi va reso più semplice, a mio avviso – evidenzia Remuzzi all’Adnkronos Salute – Vanno messe le voci essenziali, cioè il numero di persone che hanno bisogno di ospedale e di terapia intensiva, e il numero persone che muoiono” per Covid. “Però bisogna trovare il modo di distinguere questo numero di persone che muoiono perché hanno contratto il Covid, e quindi hanno una polmonite interstiziale anche se ormai è abbastanza rara, o hanno delle conseguenze da Covid, da quelle che hanno un tampone positivo. Questo non è così facile da fare con i sistemi attuali di registrazione dei certificati di morte e delle ragioni con cui un paziente viene dimesso dall’ospedale”. “Senza stravolgere tutto – ragiona lo scienziato – basta sapere le percentuali: qual è la percentuale di pazienti che muoiono a causa del Covid rispetto a coloro che muoiono con un tampone positivo. Non c’è bisogno di dire quanti sono i morti. Da un’analisi condotta nel nostro ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che ha 80 letti di rianimazione e quindi è un ospedale molto grande, è emerso che in 3 mesi erano morte 24 persone in rapporto al Covid, ma di queste 24 solo tre in 3 mesi erano effettivamente morte di Covid. Gli altri avevano un tampone positivo e altri fattori che li hanno portati alla morte”
GISMONDO
“I bollettini” giornalieri su Covid-19 “avrebbero dovuto stopparli già da tempo” ed eliminarli “sarà la prima cosa da fare per risvegliare la gente da questo incubo sociale”. Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, su questo punto come su altri si dice “assolutamente d’accordo con il collega Francesco Vaia”, il direttore generale dell’Inmi Spallanzani di Roma, che in un’intervista a ‘Libero’ ripete il suo “basta” alla conta quotidiana dei morti Covid. “Niente più bollettini” né sulla positività generica a Sars-CoV-2 né sul numero di decessi, “che non ha alcun significato e che spesso non è neanche corretto – sottolinea l’esperta all’Adnkronos Salute – nel senso che quelli che vengono registrati come morti Covid non sono tutti pazienti che hanno perso la vita per la malattia Covid-19, ma anche ricoverati per altre patologie gravi, risultati positivi al coronavirus”. Con Vaia “ci confrontiamo spesso – evidenzia Gismondo – e le nostre idee, i nostri pensieri su questa pandemia hanno sempre coinciso”.