Sedicifebbraio
Già, ma come fanno le radici degli alberi a starsene appese ai grumi di terra, come fanno senza vedere il sole, la luce fioca del mattino, quella intensa del mezzodì, come fanno a non assaporare le ombre della sera, quelle ombre che ammorbidiscono i contorni, anche quelli più spietati della vita che tutti i giorni ti si presenta davanti con le sue angherie, vere o presunte, sia degli amici, che dei conoscenti, e pure della gente comune che non ti conosce e per questo, magari, non può apprezzarti. Già, ma come fanno le radici che non vedono, non sentono, non amano (forse) nessuno che non il loro testimone su là in alto che svetta nel cielo?
Già come fanno?
Dal solito lato le due foglioline stanno prendendo corpo, s’irrobustiscono, anche se a dire il vero non mi pare che la crescita sia così energica. Fuori, la temperatura si stà addolcendo, i profumi lievitano dalla coltre bianca che, mano a mano si fonde con il luogo, a tratti lasciando in vista i margini veri della crosta sottostante. Quella crosta che assorbe, oltre ai nostri passi, pure i pensieri, pensieri che a volte vanno e prendono il largo, sfuggendo talvolta anche alle nostre funi.
Comunque il “vassoio” è lì e questo, per ora, basta; è sufficiente a far ricordare le valenze del vivere, del fare e costruire, con la santa pazienza di mettere su un mattone sopra l’altro, incessantemente, secondo un programma, magari ne così lineare e ne così apparente, anche alla rinfusa; perché anche alla rinfusa è un programma, forse non ordinato, ma certo con un fine.