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Radici in crescita, sequenza giornaliera degli accadimenti- di Ivan D’Agostini- 7 marzo

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Settemarzo

Ma come sono cresciute le prime anime verdi. Oggi però la mia anima è triste, oggi se ne andato un pezzetto di noi, Hermes il nostro micio ci ha lasciato. Lo porteremo in campagna, lo metteremo accanto ai noci o tra l’acero che piantai nel 1992, quello sulla balza di metà, accanto ai piccoli ginepri che speravo crescessero di più e che invece sono rimasti bassi; perché lì forse in mezzo a tanti giganti, carpini, robinie e querce, non hanno trovato spazio per cercare il sole, una luce che filtrata da così tante fronde, scalda poco questa terra.

E forse starà bene li, il corpo di Hermes, starà protetto dal solleone, l’ombra, che ricordo cercava spesso, sarà la sua compagna; una compagnia che ammorbidisce i contorni, li sfuma, crea il ponte tra la marcatura decisa dei contorni e il melange dei colori, come quelli del suo mantello, quella corolla chiara, quasi bianca che gli cingeva il collo, che replicava sul basso delle sue lunghe zampe. Alto il “parun de ca” (già perché i nostri animali, compagni della vita nostra, diventano veramente i padroni della nostra casa, delle nostre case, perché loro stanno sempre lì anche quando noi siamo fuori e la guardano, la osservano, la respirano sin dentro le muffe che attanagliano gli angoli, quelli dove l’aspiratore non arriva e così loro, effettivamente la vivono), aveva diagnosticato un giorno la “li” e alto pure il micio.

Non ne potevamo avere uno diverso, differente. Era, è ancora uno di noi, perché nei ricordi gli esseri non spariscono mai, forse a tratti si sfumano, sovrapposti, nel basso, ad altre emergenti figure, ma non svaniscono, sicché la nostra vita è piena densa di ricordi, fotografie che incastoniamo l’una dentro l’altra, a comporre una sinfonia di immagini che solo per una mera forzatura, non si muovono, presentandoci a volte il film del passato.

 

Certo si vive nel presente, si vive per esserci anche domani e forse più, ma la vita è un muro che appoggia su terreni solidi, su basamenti importanti e i ricordi, le immagini, i suoni, profumi o puzze che siano, rappresentano il piede dove appoggiare la gamba.

Starà quindi là, andremo tutti assieme e pazienza se piangeremo per la commozione che ci prenderà, come quella che ora avanza tra le mie palpebre; è perché abbiamo tanto da dare ancora a tanti, pazienza se impiegheremo tanto a scegliere bene il luogo, magari ad un tratto la melly dirà, no scusate ho cambiato idea, papy mettilo li eh. Certo figlia mia come tu desideri, e luchino che, in disparte, con gli occhi gonfi e rossi, sceglierà le pietre più piatte da posare sopra il sudario. Ce ne andremo tutti senza un pezzetto del nostro, lo avremo lasciato là, accanto al suo piccolo corpo, e come non ricordarlo nella fasciatura stretta di qualche anno  fa, quando il medico lo  operò, come non ricordare la sua andatura buffa e lui tutto lungo e stretto avvolto nel vestitino a tuta che la melly comprò per la protezione della ferita. Con quanto amore e dedizione “li” lo ha curato e nutrito. Con quanto piacere luchino se lo teneva sulle gambe, la notte, cercando, a tratti, di trovare pure uno spazio per se.

Io, il cattivo di turno, che lo sgridava, che gli correva dietro quando, per giocare o altro, combinava qualche marachella: il graffiare deciso sui cartoni, le corse impazzite nel corridoio, il canto alla luna sopra il tavolo e chissà mai perché proprio la’.

In somma starà là dove qualche volte è stato, con me e la li, a passeggiare tra le fronde, in mezzo a foglie secche, tra gli afrori dei mille selvatici del bosco. La sua casa ora è fra gli alberi, fra il muschio, riecheggeranno odori, profumi, forse anche una calza tra le sue narici.

Ciao micio hermes

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