Ventisetteaprile
E’ un’altalena, questo piegarsi e rialzarsi continuamente e, non me ne voglia nessuno, né fuori né dentro il “vassoio”, ma trovo un’assonanza tra il modo che hanno questi teneri virgulti nel piegarsi continuamente alla ricerca della luce, una sorta di verità, – un pochino condizionata magari da presenze -, effettivamente altalenanti come le tapparelle che alzo e abbasso continuamente ogni giorno e forse anche, qualche volta il sabato e la domenica, e il nostro quotidiano vivere.
Ieri raccontavo e mi dicevo della quotidianità, del nostro metabolizzare male le cose che, invece dovremmo tendere a rendere efficientemente importanti; io sono, in un certo qual modo, il Governatore, immagino, per quei teneri virgulti, senza che loro, forse, lo possano immaginare; per quanto effettivamente risieda, all’interno della corteccia in divenire, nel substrato corticale del tronco in fieri, la possibilità della coscienza dell’esistenza.
Altrove abbiamo [ho] costruito ipotesi circa la sensibilità rispetto al concetto di esistenza di tutte le forme di vita, comprese quelle che si arrabattano, e non giacciono inermi laggiù, nel fondo brulicante del nostro, a questo punto, “vassoio”.
Perdiana dunque chi sono io per comandare, gestire, ordinare e dirigere l’attività là nel campo circoscritto del tondo di quel “vassoio”, di questa dottrina dell’esistenza che ci sta accompagnando oramai da lungo tempo.
Quel panorama di cui abbiamo imparato a conoscerne ogni aspetto, anche se molti forse rimarranno confusi nell’intricato gioco delle radici che là sotto si scambiano informazioni. Messaggi che non capiremo mai, tutti presi con il futuro da costruire dimenticando, troppo spesso, persino il ricordo del passato. E torno quindi ogni giorno, ogni momento in cui posso dedicare tempo alla riflessione, agli sguardi che mi permettano di staccarmi dalle banalità e di mostrare attenzione alle importanti addizioni della vita. Sono così queste esili fustaie, svettanti in quel campo di marte in miniatura, vorrei dare loro solo possibilità di espressione, di crescita, insegnando quel poco che basta per non inficiarne la direzione vera. Per non circuire, con la mia presunta sapienza, la loro esplorazione; troppo spesso i grandi, gli adulti mostrano verso i giovani più risvolti di plagio che non di mera educazione. L’insegnamento vero lascia sempre un po’ di anarchia, è sempre libertario e non liberticida.
E’ giusto (e opportuno pure) fornire indicazioni e non binari assoluti da seguire a occhi chiusi, azioni queste che frenano la fantasia, inficiano la scoperta, la ricerca viene ammutolita e così si muore; come quelle nazioni che privano i loro cittadini di commettere errori, poiché dagli errori si impara.
E così stanno, in fondo, i miei alberelli lì, in bella mostra nel “vassoio” questo serioso e impassibile Generale. Vero, talvolta scorgo, sotto il bordo, nella superficie nascosta, quel riaffiorare del salnitro che lo rende giocoso, quelle sfumature che rompono la monotonia “teocratica” del colore del coccio, che affievoliscono i toni marcati, e quasi, intravedo, la fitta tela delle radici che là sopra, fremono di vita.
Mamma mia, che stupore ogni volta che lo sguardo si posa su quel piano che cresce, si dilata, si muove nello spazio del tempo pur restando immobile sopra il piano ove l’ho collocato lo scorso 22 gennaio; e non smetto mai di ripercorrere la strada, anche all’indietro per vedere se qualcosa ho dimenticato, se qualcosa invece, sembra è, diversa da come l’avevo supposta e persino vista e raccontata; decine e decine di lettere fa, prima, nelle pagine indietro a questa.
E’ quasi una sensazione escheriana, la mia, la mano che disegna se stessa, la mente che esplora dentro il suo, il mio io ed è così che divento, io piccolo e insensato uomo, un briciolo interessante di me stesso.
La felicità racchiusa in un bicchiere d’acqua fresca.