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Radici in crescita, sequenza giornaliera degli accadimenti, di Ivan D’Agostini- 24 marzo

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

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Ventiquattromarzo

Un sole in penombra, una nuvola mancante, uno scroscio d’acqua purificatrice, un oggetto da non usare, cose e riferimenti. Testimoni muti delle esistenze, i giorni che transitano, che fuggono, mentre le ombre, che si stagliano sulla parete disadorna della casa in fondo alla strada, quella strana facciata senza finestre, svaniscono al calar della notte. Un’ora in più nelle giornate del sole, domani, un’ora in meno nel sonno nel letto, un’ora in meno da passare accanto a lei, nudo ma non per questo indifeso, accanto, il corpo suo, vellutata pelle che accarezzo che bacio e che desidero, sempre; il corpo suo che a tratti inizia ad essere solcato da qualche ruga, che mi scalda nella notte e non solo di desiderio. A volte è la vicinanza, la maturità dei sentimenti e non del corpo, la maturità dei pensieri e della mente, non disgiunti uno dall’altro, l’indissolubilità dell’essere accanto uno all’altro, di questa comunione di intenti di cui non potresti farne a meno, che coagula infine i brani della vita che, diversamente, rischierebbero di rotolare come grani di sabbia asciutta sulle dune del vivere.

Ed è così che la vita risulta meno greve, uno accanto all’altro, anche quando le parole non ci sono, anche quando il silenzio piomba, dal basso sul ventre dei pensieri, anche quando gli sguardi non si incrociano se non a tratti, mentre spingi il carrello della spesa: “radicchio staserà?”   “si prendi quello rosso, lungo” Ti giri, il sole filtra tra il vermuth e il rosso antico, sbatte contro la sambuca, rimbalza da quella bottiglia verde là in basso, si spinge oltre confine, tra i pelati e i vasetti di aromatiche, scivola tra i detersivi e le miscelenovetorte, “stasera viene il moro vero?” il mio annuire è un po confuso, mi fondo nei suoi occhi, quel sottile lembo di pelle che separa le palpebre e che rivedo ogni volta quando la guardo, intensamente, quella dolcezza negli occhi che mi ha fatto innamorare e che ogni volta, prepotentemente mi richiama quando, distratto dalla vita, mi perdo nei miei perché.

Le stecche della tapparella lasceranno filtrare la giusta luce, là sopra il “vassoio”, ho come l’impressione che mentre non ci sono tutto vada quasi in letargo, che siano dormienti, che le attività rallentino, quasi per aspettarmi.

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