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Radici in crescita, sequenza giornaliera degli accadimenti, di Ivan D’Agostini- 16 marzo

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

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Sedicimarzo

 

Se, se invece dei numeri avessimo le lettere, infinite come quelle che scrivevo al mio amore, che non è unico che non è solo. L’amore che come il “Vassoio”, e stavolta il maiuscolo ci sta tutto perché l’amore è importante e non è una cosa, riduttivo termine che tutto vorrebbe classificare, unire o disgiungere dall’onomatopeico sistema che abbiamo, noi cretini, di etichettare il tutto.

Maledetto metodo.

E allora, se avessimo l’alfabeto infinito, l’Alfabeto delle necessità, come quella che ieri sera, forse stanotte s’è definito nella mia capa, per capire per sintetizzare i bisogni, le necessità non solo dell’individuo singolo ma dell’intera collettività, che dei singoli è formata, tutti con i loro bisogni e incongruenze e priorità, punte che solo una differente visione permette di addolcirne la pericolosità. E allora costruiamo quest’alfabeto, diamo identità vera ai nostri bisogni che poi sono elementari, se all’elementare bisogno ricorriamo ogni giorno e già vedo così composta questa dottrina dell’esistenza: mangiare bere dormire cagare pisciare sputare vomitare se hai mangiato troppo e male, scopare e fare all’amore che son si due situazioni diverse ma a volte anche necessarie, senza nascondersi dietro ai nostri umani disturbi che son pregi quasi pregi quando riesci a superarne la patologia, come le seghe, come la masturbazione femminile, quella dei preti, delle suore, dei ministri, financo forse anche del Papa quando era giovane ragazzo e di più non credo si debba andare. Dalla torre, dal minareto chiunque lancia la sua predica, che poi è quella preghiera che fa star bene il mondo, il sermone del parroco la domenica mattina lassù a Montemartino, con il Don Luigi che vusa (in milanese per dire che grida perché è leggermente sordo) quando parla, e sputacchia dal e sul microfono che se gli stai vicino ti rilava la faccia appena fresca della doccia; il sermone che non serve capirlo, che non serve condividerlo ma che lancia frecce, che subito, sempre, e non a volte, mi proietta verso altri luoghi, che mi aiuta a spingere il pensiero, la mia riflessione e allora torno a questo Alfabeto, minuscolo dizionario che ogni giorno si amplia, si arricchisce dei bisogni dei pareri degli algoritmi che gli stessi generano, in questa meccanica quantistica del pensiero umano.

Gesù, pensiamo, pensiamo, pensiamo sempre, ogni giorno, ogni momento anche quando pensiamo di non pensare e lasciamo libera la mente … di pensare appunto.

Standardizzazioni dalle quali fuggire, le giornate metodiche, fuggire dalla consuetudine dannosa, e provocare, dissuadere, dissodare la terra, rovinarne la crosta per smuovere i grani compatti, irrobustirne la capacità di permeazione di aria di acqua, di tutto, quel tutto che insomma suggerisce il movimento, l’affranco dallo stadio nichilista dell’immobilità, della pura conservazione statica.

Ricordo, e chissà poi perché, quel vecchio monumento in Albania nel 1994 dove le colonne mancanti di un tempio greco, furono ricostruite con sagaci forme di calcestruzzo, pietra moderna. Elementi tondeggianti e grigi, quasi amorfi, a sostegno di una malcapitata trabeazione, una trave antesignana del tetto scomparso, defunto secoli prima che il ritto arrivasse a, suggellarne poi, l’antica giacenza. E’ così, è proprio così che occorre fare, agire, concludere per poi ricominciare, dal basso, dalle forze che spingono da dentro, come la terra smossa che armoniosamente ricaccia fuori l’unguento malefico che trasuda, dall’inverno appena trascorso e, con le prossime piogge, nutrirà il seme che avremo collocato.

Ed è qui, qui accanto a me il “vassoio” e suggerisce, informa, plasma i continui effluvi che la mente assapora e traduce in forme accattivanti, in parole e concetti che saranno dispiegati ai più, ai tanti che vorranno sapere conoscere e informare poi ancora chi ne è o ne sarà privo.

Notte, notte fonda, adagiato sul fianco tento di capire come sarà il mio sonno stanotte, dopo che la pausa del giorno sarà terminata, dopo che le cose saranno tutte sistemate, per ora s’intende.

Fogli, matite, le carte del Sala, i prodromi dei due lavori, che speriamo si concretino presto, le coperte per i computer, la corrispondenza ancora da classificare. Tutto il sistema studio che così diligentemente e con parossistico scrupolo ancora osservo. Sì, questa notte sarà corta, sarà breve che così domani, oggi, sarò fugacemente ancora qui, ancora a osservare la mia adorata coltre.

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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