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Radici in crescita, sequenza giornaliera degli accadimenti, di Ivan D’Agostini- 1 e 2 marzo

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Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

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Primomarzo

 

Sole e sole, acqua e acqua. Componenti essenziali del mondo. Situazione confacente al proliferare di alcune condizioni.

Le parole si susseguono nei tratti senza la necessaria punteggiatura ed è come se stessimo pensando ad alta voce che il pensiero li non ha bisogno di sospensioni di interruzioni di tratte da porre tra un intervallo e l’altro e allora, ah finalmente la pausa direte voi, no solo un accidenti di ostacolo tra me e la tastiera, la penna di questo secolo, che ha posto questo intervallo, ora a margine delle verbosità che tento di comporre e di tradurre in pensieri da esporre, da confutare da chi, senza accenti particolari, meglio non ha che di contestare, di frapporre all’altrui pensiero, insomma cazzate direte Voi. No solo ed esclusivamente riflessioni.

Come quelle che sul bordo del foglio dell’annotazione che il relatore sciorinava alla platea attenta, io ho posto nell’attimo in cui il pensiero si è costruito dinnanzi a me. Ed è così che i segni da neri diventano colorati, tinti, estesi nelle loro sfumature che si miscelano ai tramonti che tra poco inneggeranno alla prossima primavera.

Un giorno, il primo del mese di ogni mese particolare, speciale, perché vorremmo tutti ricominciare da lì, ma oggi è un giorno rubato, rubato alla fine di un mese che non è sempre uguale, travasato nei deliri delle nascite, a volte inconsuete di chi non potrà festeggiare con cadenza  annuale il suo genetliaco. Un giorno che si mette avanti anche all’orologio degli impegni, quegli impegni che un altr’anno saranno un giorno dopo di quelli di oggi, perché il tempo passato è diverso, più lungo, forse stirato nelle pause, paure necessarie della contrazione del diaframma che permette alla cassa di non esplodere, di addensare in una costante velocità pulsante, la ritmicità della nostra esistenza.

Ah come sarebbe bello qualche volta cessare di essere tali, di soffermarsi nella catartica contemplazione del divenire. Sguardi che non si farebbero notare, celati dietro alla velina del tempo, spettatori coscienti di uno stato di incoscienza collettiva, attori che non interferiscono con la vicenda teatrale recitata senza gobbo, senza che il sipario, chiudendo o aprendo la scena, ne determini la noiosa successione.

Duemarzo

La fatica è cosa di vita. La notte è un diario immenso, è il block notes per i sogni che non si concretizzano mai, quelle favole che la nostra mente tenta di elaborare per addolcire le nostre fatiche. Quelle del giorno appena passato, quelle che domani farai, sosterrai ancora. Quelle perle di sudore che si incollano dietro alla schiena, che unisce la cinta dei pantaloni alla camicia che è già mezza fuori, che lascia scoperta la pelle sino quasi al culo. Colori che mischiano atmosfere surreali, edenisiache , che aprono la notte, mentre tra le lenzuola attanagli il cuscino, scomponi la realtà e la finzione che Tu stesso elabori a Tua insaputa. Non ci sono suoni, nei sogni, non esistono rumori  nell’onirico mondo, non ci sono sapori, solo immagini, perduranti immagini che a volte ci accompagnano anche per il giorno. A tratti mi capita di scorgere, di vedere ciò che ho immaginato ieri, o anche un anno fa. Ma, ma, mi giro di scatto e il film è finito, scomparso, dietro ad un angolo di un volume che non c’è, della scatola che è solo nella mia memoria, quella che con il buio scatena le voglie e i desideri più nascosti. Lei, lui, tanti, sono tutti lì, abbracciati, uniti, fusi nella densa e collosa vicenda che sto guardando, che non vivo. Muto osservatore a volte, a tratti, pure attore, dirigo come un maestro quest’orchestra di figure che, piroettando nel caleidoscopio del cilindro mentale, costruiscono per me le storie che vorrei che fossero tali, anche solo per un attimo, anche solo per distogliermi dalla quotidianità..

 

Al mattino il risveglio è violento, scateno tutte le fibre per svincolarmi da quelle morse, da quelle piacevoli e mollicce mani che Morfeo vorrebbe tutte in torno a me. Sciolgo la notte nel bicchiere del caffè, addolcito con crema di latte. Assaporo la giornata mordicchiando qualcosa di secco. Arrivato di fretta per agguantare un po’ di carta e poi via in treno verso la città, butto un occhio, come sempre, la’, il disco tondo, il bordo sbrecciato del cotto mette in rilievo l’asperità del piccolo monte che ho costruito qualche giorno fa , sotto sotto nel “vassoio” tutto ancora dorme, è cheto.

Ma che diavolo, ma come fanno a starsene lì, ma io che muoio dalla voglia, come quella mi acchiappa talvolta sbirciando da sotto il tavolo il pizzo della stoffa bianca usata per coprirle il pelo ispido che tra i fori le esce un po’. Ma come fanno sti semi a rimanere lì fermi e a non uscire con quel pene verde a sverginare l’aria fresca della prossima primavera.?

 

Già, ma come fanno?

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