Tredicifebbraio
Cresce e cresce storto, piegato, questo fuscello che uno poi non lo vedevo piรน, questa mattina, ma poi รจ risorto negli occhi, con la lente (proprio quella dโingrandimento) per vedere meglio, รจ ricomparso nei pieghi dei mattoncini tondi dโargilla espansa, piegato sul bianco del cotone, forse a respirare meglio; chissร , ma subito sollevato, dalle mie pinzette, preso dolcemente per lo stelo, adagiato sul fianco del sassolino, spinto solo un poco verso il bordo del โvassoioโ per prender luce e sostenuto, in quel gioco dโequilibri, ancora per ora, dalla materia dura e inanimata (inanimata solo in apparenza, benchรฉ non appaiano tali le forme di vita che rumoreggiano nel fondo dei buchi, macroscopici solchi se visti al microscopio, quello che i miei, tuoi occhi, dโaltri ancora , no non vedono, non รจ detto che non ci siano; cosรฌ รจ il mondo; intanto giร sappiamo che la veritร non รจ quella che appare, che si vede, o fuori o dentro la finestra), intanto sul bordo la vita prendeย forma, ora il primo, il secondo, il terzo o non so della serie, ha giร due foglie in piรน, spuntate da dentro la nicchia dei cotiledoni, e altre.
Altri due piccoli germogli, gemme che saranno la futura tenacia della corteccia, quella pelle che vedremo adesa alla struttura, quella costruzione che vorremmo sostenesse i nostri e gli altrui pesi.
Mi diverte pensare che queste metafore prendano forma, รจ persin bello immaginare che queste conformazioni si allontanino dalle congetture che io, ora in questo istante, sto costringendo ad essere contenute in una dimensione.
Giร penso, la dimensione? Che sia una sorta di magica presa che imprigiona la mente, o meglio, cattura la mente appannata da una vista che disturba, che coinvolge troppo, con quelle immagini sfacciatamente collocate dโinnanzi a noi.
E se fosse che la stessa, quellโimmagine costante che sta alla nostra vista, non riesca a staccarsi dalla consuetudine, quando, corrotti dagli stereotipi delle visioni, non riusciamo a distogliere la mente dallโunico colore che vediamo?
Eppure.
Eppure basta poco per accorgersi che lโaria non รจ trasparente, non solo quando, per il gioco delle correnti e delle pressioni la stessa diventa densa e la caligine assiema anche la materia impura che lโuomo diffonde e spande con il suo alito infame.
No.
Anche quando, estasiati dinanzi allo spettacolo della natura, nelle aurore boreali scorgiamo i mille colori che lโaria contiene.
Nello spettro newtoniano dividiamo tutte le masse dei pastelli, sovrapponiamo il trasparente e finalmente ci accorgiamo delle differenze.
Questo piccolo insieme, questa miniatura, mi racconta la vita che si fa, quella vita in crescita dove anche la materia inanimata si anima, prende forza.
Quel sassolino leggero che ho spinto la scorsa settimana, che ho appoggiato al fusto debole, non per piegarlo ma per sorreggerlo, รจ la spalla. Esso diventa il fulcro della linea retta che desidero abbia nel corso della crescita, questโโessere che voglio condurre in lร nel tempo.
Io, dannatamente tiranno, tiro dritto ciรฒ che la natura, specifica e contestuale di questa vita, vorrebbe leggermente piegato. Non perchรฉ lโondulazione sia male, non perchรฉ la piega rappresenti la stortura; non quanto invece perchรฉ la piega, in quel caso, sia la ricerca, la meta irraggiungibile e per questo metafora della sua stessa esistenza, della luce, di quel sole che gira, perchรฉ la stanza per esso รจ ferma, che gira con lโandirivieni costante del giorno e della notte, in una pantomima che recita una commedia ogni giorno, differente; come differente รจ ogni giorno il suo corpo.