Mi chiedo cosa ne penserebbero i grandi scrittori italiani del passato: Dante, Boccaccio, Petrarca, Ariosto, Manzoni, tanto per citare dei nomi, e dico italiani perché sono italiana, ma la stessa domanda la potrei porre a tutti i veri scrittori del mondo.
Di che cosa mai sto parlando, vi starete domandando? Ma di Intelligenza Artificiale, di quei programmi che stanno prendendo piede nell’ambito della scrittura e coi quali si cerca di sostituire la macchina all’uomo. Voglio però fare una precisazione, se l’I.A. la posso accettare in campo medico, militare, finanziario e nella filiera logistico produttiva, in quello artistico assolutamente no. Non la userei nemmeno per stendere una sinossi che va in seconda di copertina, perché la sintesi di un testo è una cosa delicata e va ragionata, visto che aiuterà il lettore a capire se il tale libro può rientrare nei suoi gusti e interessi; e usare le informazioni rimescolate da un computer, anche se a prima vista velocizzano il lavoro, secondo me mortifica le capacità umane.
E ancor di più umilia quelle di uno scrittore onesto, perché lo scrittore onesto non ha bisogno di utilizzare le idee immagazzinate da un programma che in pochi secondi ti confeziona una storiella senz’anima, quella di un programma che, applicando degli algoritmi integrati in un ambiente di calcolo dinamico, simula il pensiero e l’agire umano perché, diciamolo con sincerità, scrivere, così come comporre musica o dipingere, è un’arte che si esprime grazie a ciò che siamo, al nostro vissuto, alla nostra sensibilità, alla nostra cultura, a come vediamo il mondo.
Una I.A. fatta da milioni di microchip, ovvero da capsule di vetro biocompatibili grandi come chicchi di riso contenenti cristalli di silicio e circuiti elettronici integrati, può essere paragonata a un essere vivente?
L’arte è una parte di noi troppo particolare per essere ingabbiata in un circuito, e poiché scrivo romanzi, mi limito umilmente a parlare di scrittura, una capacità espressiva che viene da molto lontano, nata 4.000 anni a.C. dalla civiltà sumera e originariamente pittografica, seguita poi da quella ideografica degli egiziani e infine, grazie ai fenici, sillabica e di più facile apprendimento.
Quante storie emozionanti, tragiche, liete e belle pur nella loro diversità, sono nate dalle menti degli uomini attraverso i millenni, e ora ci vogliono robotizzare? O meglio lobotomizzare affidando il nostro sentire a un oggetto che non ha né cuore, né polmoni, né sangue, né carne, né sentimenti, insomma, a una cosa che non è viva anche se lo sembra. E scusate se ho parlato con schiettezza e se questo mio scritto forse non è perfetto, ma sono solo un essere umano.
Luciana Benotto