Provaci ancora.. play it again, Joe (Strummer)

L'omaggio di Teo Parini al leader dei Clash, che oggi compirebbe 72 anni

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Ci sono uomini speciali, la storia del mondo ne è piena. Tra questi, uno come John Graham Mellor che oggi di anni ne avrebbe compiuti settantadue, lo è anche di più perché capace di cambiare il corso degli eventi stando seduto dalla parte giusta della storia. Quella dell’uguaglianza dei popoli, della libertà, dell’avversione alla sopraffazione, della giustizia sociale. Insomma, quella di un’umanità migliore. Come? Verrebbe da dire facendo musica, ma sbagliando per difetto.

Joe Strummer, lo Strimpellatore, personalità caleidoscopica e impossibile da etichettare, lo fece più in grande, dando l’esempio, riuscendo a convincere milioni di persone disseminate sul pianeta Terra che il futuro, nonostante una contingenza malata, avrebbe potuto essere riscritto. Dagli ultimi e per gli ultimi. Le politiche economiche intrise di diseguaglianza della Thatcher nella Londra degli anni ‘80 gli levavano il sonno, al pari della frammentazione di una società dei pochi sulla pelle dei molti, così Joe si fece portavoce del sottoproletariato sfruttato che, tra sudore e fatica, scelse di non chinare il capo e ne pilotò il disagio. L’alba di un tumulto nuovo.

Dal ‘no future’ dei Sex Pistols, quindi, alla carica ribelle dei The Clash dei quali Joe fu per un decennio anima e voce. Non più autodistruzione ma speranza, con le note di pietre miliari come London Calling o White Riot o The Guns of Brixton che, come carburante, alimentano il motore della rivalsa. No, il futuro non è ancora stato scritto. Antesignano, Joe. Militante, a differenza di troppi che l’hanno preceduto e che non ne hanno raccolto l’eredità, fervente antifascista, antimperialista. Internazionalista, per la pace più che pacifista. Ha vissuto più di una vita e, al pari della sua band più iconica, il punk non fu che una sola di esse. I The Clash, infatti, seppero sperimentare, un po’ genialità e un po’ quel desiderio di restare ancorati ai tempi, perché sono sempre elettrizzanti le utopie ma è la concretezza che sposta le montagne. Reggae, rock’n’roll, blues, soul, rhythm and blues, jazz, ska, folk e chissà cos’altro: ascoltare un album epocale e spartiacque come fu ‘Sandinista!’ significa abbeverarsi di tutto questo, è la freschezza di un pensiero che non conosce l’invecchiamento nonostante siano passati ormai più di quarant’anni, anche se sembra ieri.

Un fratello maggiore, Joe, di quelli che parlano e pensano proprio come noi, che cocciutamente teniamo viva la speranza di poter fare del bene in un mare di merda che travolge un mondo inesorabilmente più cattivo ogni giorno che passa. La nostra stessa lingua, la nostra stessa anima. Per alcuni fu ingenuo, ma la sua parabola li smentì uno per uno con la forza delle idee. Ci aveva visto giusto, a sancirlo è l’attualità stessa che Joe non solo aveva previsto ma si prodigò, per quanto umanamente possibile, di scongiurare. “Abbiamo solo cercato di risvegliare l’attenzione su una serie di cose che ci sembravano sbagliate. Quelle cose sbagliate – disse – esistono ancora e i Clash no. Vuol dire che abbiamo perso? Non lo so. Certamente i Clash sono stati una voce forte e se hanno cambiato la vita anche di una sola persona hanno raggiunto il loro scopo”. Non fu una persona, fu un popolo intero, e nonostante la morte prematura Joe non ha mai smesso di punzecchiare le coscienze.

Nato ad Ankara in Turchia e figlio di un’infermiera scozzese e un funzionario britannico, l’infanzia gli fu da subito tribolata. “Il Governo li pagava (i suoi genitori, ndr) per vedermi una volta all’anno e io sono rimasto solo in questa scuola dove i ricchi lasciavano i loro figli ricchi”. È il suo istinto ribelle a parlare e, accompagnato dai testi di Woody Guthrie, si allontanò appena maggiorenne dall’ecosistema finto ed effimero che lo aveva visto nascere. La soluzione al conflitto famiare interiore passò per la tragedia che toccò il fratello David, morto suicida e così ontologicamente ai suoi antipodi. “Era diventato un nazista e un seguace dell’occultismo. Non parlava con nessuno. Credo che il suicidio fosse l’unica via di uscita per lui. Cosa altro poteva fare?”. Nasceva così, invischiato in un mondo non suo e che presto avrebbe preso a picconate divincolandosi, lo Strimpellatore ed il resto è già storia. Al pari, purtroppo, di un maledetto infarto che all’età di cinquant’anni se lo portò via noncurante della grandezza di un uomo, lasciando un senso di vuoto che non siamo stati in grado di colmare. Nemmeno guardando e riguardando il docu-film ‘Future is unwritten’ di Julien Temple, uno che per anni lo ha accompagnato definendolo a più riprese filosofo perché capace di riflettere con cognizione di causa sui tempi che la sua parabola ha attraversato con veemenza e dolcezza insieme. Tanto da ricordare proprio quel rivoluzionario che fece convivere sotto lo stesso cielo di stelle durezza e tenerezza.

In definitiva, a Joe Strummer, avremmo davvero consegnato le chiavi del nostro futuro e ciò basta a spiegare perché abbiamo radicato nel cuore alcuni riferimenti piuttosto che altri. Consapevoli di non essere stati all’altezza di una strada tracciata con coraggio e visione, la sua, a settantadue anni dalla nascita siamo sempre qui a fargli i nostri commossi auguri, ovunque esso sia. Quindi, buon compleanno, Joe. Un giorno o l’altro la legge avrà la sua sconfitta. Te lo abbiamo promesso, proveremo ad essere di parola.

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