C’è grande preoccupazione tra i suinicoltori piemontesi per i focolai di peste suina africana registrati sul territorio, ad oggi 5 concentrati in particolare in provincia di Novara, che hanno già portato all’abbattimento di circa 15 mila capi di bestiame. Ad amareggiare gli operatori del settore, però, non è solo il danno economico provocato dalla perdita dell’intero allevamento ma soprattutto la perdita delle caratteristiche genetiche ottenute con una selezione durata anche anni, e che in questo modo vengono completamente azzerate.
”E’ una situazione che ci preoccupa molto – spiega all’Adnkronos il direttore della Coldiretti di Novara e Vercelli, Luciano Salvadori – anche perché il danno non è solo quello calcolato sul suino abbattuto che viene pesato e pagato, occorre calcolare pure il danno provocato alla selezione genetica, durata magari anche vent’anni, che in questo modo viene distrutta e costringe l’allevatore a ricominciare tutto da capo. Basti pensare che un suino italiano per fare un prosciutto dop viene allevato mediamente per sei-sette prima di essere macellato, quelli di altri Paesi sono pronti in quattro mesi”. ”Inoltre bisogna tenere conto che si tratta di animali che sono stati abbattuti perché così prevedono le norme sanitarie che vanno assolutamente rispettate ma che sono stati colpiti da un virus che in nessun modo viene trasmesso all’uomo”, osserva ancora Salvadori auspicando che quanto prima si proceda con gli indennizzi.
”La Regione Piemonte ci ha dato garanzie che si occuperà immediatamente della questione dei danni diretti e siamo fiduciosi per le strategie delineate nei giorni scorsi dal commissario straordinario Giovanni Filippini”, aggiunge. E sugli indennizzi si sofferma anche il vice presidente di Coldiretti Piemonte con delega territoriale alla zootecnia, Bruno Mecca Cici che precisa: ”Gli indennizzi non devono solo riguardare quelle aziende che hanno subito abbattimenti, dobbiamo tenere in considerazione il tema del fermo aziendale che riguarderà tutti quegli allevamenti che saranno costretti a restare fermi e non potranno nemmeno ripopolare. A rischio c’è l’intera filiera suinicola piemontese che conta circa 3000 aziende, un fatturato di quasi 400 milioni di euro e 1.200.000 capi destinati soprattutto ai circuiti tutelati dalle principali dop italiane”.