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Dall'archivio:

“Perché spazziamo via le cose vecchie? Il valore della tradizione”

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È notizia di questi giorni che il Ministro dell’istruzione, Lorenzo Fioramonti, ha dichiarato di essere a favore dell’eliminazione del crocifisso dalle scuole italiane. La proposta non mi ha fatto riflettere per la sua attualità – è infatti questo un tema ricorrente – quanto per il fatto che a proporlo sia stato proprio chi di istruzione dovrebbe occuparsi, chi l’istruzione dovrebbe rappresentarla. Sembra che la priorità oggi debba essere quella di innovare, ma siamo sicuri che sia la strada giusta?

Lavorando nel campo educativo constato quotidianamente la perdita, nelle nuove generazioni, di alcune abilità legate alle tradizioni del passato. La prima causa della disgrafia (difficoltà di scrittura), ad esempio, è la carenza di destrezza manuale dovuta alla scomparsa di abitudini classiche e di giochi popolari a vantaggio del mondo digitale. Una volta, nell’apprendimento, la capacità di scrivere bene contava: molto tempo veniva dedicato in prima elementare all’insegnamento di tecniche ormai quasi del tutto dimenticate. Eppure oggi sappiamo bene, grazie agli studi psicologici e scientifici, quanto le regole siano indispensabili non solo per giungere a buone prestazioni scolastiche, ma anche per rassicurare e “contenere” il bambino, permettendogli di avere riferimenti precisi.

Mi chiedo: che cos’è il progresso? I Tiromancino, in una loro canzone del 2002 scrivevano: «Noi viviamo nel progresso […] e lo fraintendiamo con la cultura dell’immagine, del corpo, dell’apparenza; ne occupiamo le frequenze e ci serviamo di certe sue estensioni fino a rimanerne abbronzati perché può sostituire anche la luce del sole e la ricerca di un Dio». Siamo la società del “nuovo”: in pochissimi ormai scrivono cartoline e lettere a mano; abbiamo eliminato le caselle postali dalle strade, compriamo prodotti online. È una società, quella attuale, che sembra ossessionata dal voler eliminare a tutti i costi la propria storia, dando sempre più spazio ad ogni forma di sperimentazione, ritenendo retrogrado (oggi va di moda dire: medioevale) porsi un interrogativo sulla leicità e sulla pertinenza etica del progresso stesso.

Sfogliare un libro di carta, coglierne il profumo, osservare un antico oggetto dei nostri nonni, studiare la storia dell’arte: piccoli gesti siglano il legame con le nostre radici. Non si tratta di tornare nostalgicamente al passato, ma sono a favore della tradizione, la considero una ricchezza, una via per mantenerci umani e per questo spero che i giovani non la perdano. Istruire, per me, significa anche questo.

 

 

 

 

 

Irene Bertoglio è scrittrice, grafologa, rieducatrice della scrittura e perito grafico-giudiziario. Per anni ha gestito una struttura nell’ambito formativo ed educativo. Ha tenuto e tiene numerosi corsi di aggiornamento e innovativi progetti sperimentali nelle Scuole dell’Infanzia, Primaria e Secondaria, soprattutto di prevenzione della disgrafia e di orientamento scolastico e professionale. È autrice di diversi libri, tra cui, con lo psicoterapeuta Giuseppe Rescaldina: “Il corsivo encefalogramma dell’anima” (Ed. “La Memoria del Mondo”). È direttrice dell’Accademia di Scienze Psicografologiche con sede nel centro di Magenta, che organizza corsi e incontri di psicologia, grafologia, calligrafia e non solo (www.psicografologia.wordpress.com). L’autrice è contattabile all’indirizzo [email protected].

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