Affrontando la tematica dell’immigrazione, emerge che il vero problema è di prospettiva. La società attuale, svincolatasi dalla comunità, e quindi da tutti quei legami storici e spirituali che la compongono, guarda infatti il problema delle migrazioni con disinteresse dal punto di vista comunitario. L’uomo si è ridotto a un individuo consumatore e di conseguenza l’illusoria (quindi di fatto inesistente) interazione con un europeo equivale all’illusoria interazione con un africano. Esiste però anche sotto l’aspetto socio-economico una certa indifferenza: il seguace medio della propaganda immigrazionista, paradossalmente conservatore del proprio status quo (compreso qualche eventuale pseudo-rivoluzionario annoiato che ben sa di avere uno status assolutamente saldo in ogni caso), non risente infatti generalmente del caos sociale che le migrazioni di massa contribuiscono a provocare. Questo perché, appunto, il suo quadrilatero è ben isolato dal resto del mondo.
Ma allora, cosa spinge un individuo ad essere immigrazionista? La risposta è semplice: all’individuo, non più zoòn politikòn, divenuto indifferente alla comunità, non è rimasto più nulla a cui attaccarsi, se non l’illusione di essere nel giusto e quindi di essere portatore di giustizia, per ostentare un’immagine, la propria, sporca di una inconscia pusillanimità, più pura di quello che realmente è.
L’ideologia filo-immigrazionista è perciò causata da una visione estranea alla storia, e quindi esterna, sebbene attuata da corpi fisicamente presenti. Non è un caso che Emma Bonino e +Europa riscuotano un discreto successo negli ambienti, come l’Università Bocconi, che pongono l’homo oeconomicus al centro della società.
Quando invece si ammette che l’immigrazione è effettivamente un problema, spesso si propone, come proprio anche +Europa ha più volte fatto, una soluzione basata sul controllo della natalità. Soluzione tanto anti-umana quanto poco lungimirante: è priva, infatti, di un’analisi che riesca ad andare alla radice del problema.
Perché, come, affermò anche Benedetto XVI, occorre prima di tutto difendere il diritto a non emigrare. È diritto di ognuno, appunto, preservare la propria identità ed i propri affetti, valori oggi messi in discussione dal business dell’immigrazione e dalla sopra citata propaganda nichilista. Difendere perciò la loro identità comunitaria è difendere la nostra. Aiutarli a casa loro è pertanto l’unica via. Non è demagogia: sono infatti presenti da anni in Africa realtà che operano a livello sanitario e formativo per lo sviluppo del continente. È perciò partendo dal riconoscimento dell’esistenza di diverse identità che si può instaurare un reale rapporto di collaborazione, tornando quindi ad affrontare eventuali problemi dall’interno, non più dall’esterno.
La retorica di chi pone l’epicentro nella scarsa fortuna dei popoli africani la lasciamo volentieri ai paladini del nulla cosmico.
Lorenzo De Bernardi