Il femminismo contemporaneo internazionale ha un problema: le tette. La modella americana Emily Ratajkowski intervistata da Harper’s Bazaar ha lamentato d’essere penalizzata per via del seno troppo grande. Ha ammesso: “Continua a capitarmi questa cosa: ‘oh, è troppo sexy’, ma è veramente anti-femminile che le persone non vogliano lavorare con me perché ho il seno troppo grande”. Primo caso registrato nella storia dei boicottaggi sul lavoro per un seno troppo grande: una molestia al contrario (sappiamo che i vestiti cadono meglio alle magre piatte, ma pazienza).
La Ratajkowski oltre a essere la regina delle preterizioni, del genere che se fosse stata una Miss Italia anni Novanta avrebbe detto che il suo difetto peggiore è essere onesta e diretta, ha anche il vizio di spogliarsi e rivendicarlo politicamente. L’ultimo caso celebre è quello del selfie nudo anti Donald Trump, con la scritta “My body, my choice!” (il punto esclamativo è lì a indicare impegno civile).
Che c’è di sbagliato nelle tette?, si chiede Ratajkowski. Lo scorso Maggio il movimento femminista mantovano “Non una di meno” aveva censurato i manifesti pubblicitari di Intimissimi perché considerati sessisti. Una scritta “Anche questa è violenza” incollato al seno della modella russa Irina Shayk. Non era la nudità a scandalizzare ma l’uso “stereotipato del corpo della donna. In Italia, molto più che in altri paesi d’Europa, tanti prodotti di consumo vengono pubblicizzati usando il corpo o parti del corpo della donna”. Nel caso specifico dell’intimo avrebbero forse trovato meno insultante vestire uno spaventapasseri o infilare il reggiseno a un frullatore. È probabilmente il caso meno centrato contro cui usare la questione della reificazione del corpo: anche gli uomini vendono intimo, e non succede mai lo facciano in giacca e cravatta.
Ma il vero problema era un altro, la rappresentazione: “I media ci propongono costantemente un modello di donna eteronormato che non è rappresentativo delle diversità di ognuna di noi: pelli lisce e depilate, corpi magri e tonici, ragazze giovani ed ammiccanti”. Quelle femministe avrebbero voluto che le modelle fossero grasse, coi peli e le smagliature, per essere più vere. Non succede mai che un uomo, vedendo Christiano Ronaldo o David Beckam ammiccanti e seminudi, nel tentativo di farti comprare un paio di mutande, si alzino in piedi e urlino: io ho la pancia e un principio di seno, e sono senza culo: non mi sento rappresentato! Si dirà che siamo egemonia, classe dominante, uomini alpha: sì, ma se hai il fisico a pera, niente spalle e le gambette da merlo non te la prendi con i manichini della Nike, vai in palestra.
“La violenza non è solo fisica ma pervade tutti gli ambiti della società in cui viviamo”, urlano le femminste mantovane. Persino Roxanne Gay, saggista e “cattiva” femminista americana, sembra crederci. E in una recente intervista a Elle, per promuovere Hunger: A Memoir of (My) Body, sviscera i problemi col proprio corpo. In un capitolo racconta che a una presentazione non riesce a salire sul palco senza l’aiuto di un altro scrittore che la spinge; si siede e sente scricchiolare la seggiola di legno. Panico. Si romperà di fronte al pubblico? Nel dubbio rimane sospesa in posizione da squat per tutto il tempo. Tornando in hotel, anziché pensare di dover iniziare una dieta e fare molto cardio, racconta di aver singhiozzato perché “il mondo non può ospitare un corpo come il mio e perché odio essere messa a confronto con i miei limiti”. La regola è: è sempre colpa degli altri. Non sono io a essere obesa, è la sedia che è fragile, è il mondo disegnato male. (Dopotutto non va meglio a Lena Dunham a cui non hanno perdonato d’essere dimagrita dopo sei stagioni a rivendicare le trippe nella serie “Girls”: la libertà di poter disporre del proprio corpo non è contemplata).
Il femminismo si schiera su due fronti opposti. C’è chi rivendica il corpo sexy, come fanno Kim Kardashian e Emily Ratajkowski, sostenendo che mostrare le tette sia il grado zero dell’emancipazione; chi al contrario si oppone all’idea di un corpo seducente, perché quel canone è eteronormativo ed esclude i corpi meno piacevoli. Smettere di farsi i peli e girare sudate in ciabatte diventa atto politico sovversivo (e vano: i canoni di bellezza non sono il frutto di una tavola rotonda tra minoranze). A ripensarci, Il femminismo contemporaneo internazionale ha un problema, sì, ma non sono le tette: è l’essere preso seriamente.
Manuel Peruzzo
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