― pubblicità ―

Dall'archivio:

Pandemia e DAD: “Abbiamo davvero protetto i nostri ragazzi?”, della dottoressa Antonia Gaeta

+ Segui Ticino Notizie

Ricevi le notizie prima di tutti e rimani aggiornato su quello che offre il territorio in cui vivi.

Attenzione: questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie.

Potrebbe contenere informazioni obsolete o visioni da contestualizzare rispetto alla data di pubblicazione.

Riceviamo e pubblichiamo dalla dottoressa Antonia Gaeta, psicologa e psicoterapeuta:
Mentre mi concentro per scrivere questo articolo si rianimano nella mente, procurandomi un sottile dolore, le immagini dei miei figli, le mie prime due figlie, durante il periodo della loro preadolescenza e adolescenza, dai 11 ai 17 anni, che risalgono a un po’ di anni fa… quando ne parlo ora mi accorgo che mi hanno fatto vedere, come si suol dire “i sorci verdi”, specialmente la prima figlia, che mi ha colta – come mamma – impreparata. Non ero abituata a quella donnina, quella piccola donna come la chiamavo io, spavalda e più sicura di me, nell’avanzare richieste e continue proposte. Le uscite con gli amici, i fidanzati, i silenzi improvvisi.

Le canzoni urlate al vento mentre l’accompagnavo dal fidanzato o agli allenamenti di pallavolo. Dall’oggi al domani mi aveva privato delle sue confidenze spontanee e quando si discuteva per un’uscita che non condividevo, per l’ora in cui sarebbe dovuta tornare, mi mandava in confusione, non sapevo più quali erano principi e valori educativi su cui dovevo rimanere ferma, la resilienza era difficile e lei mi urlava a volte “io non sono te!”: io mi sentivo la mamma cattiva che doveva valutare le sue richieste di uscite, che per l’appunto erano missili continui, dire no, dire si, combattere con lei. Sì, perché ogni richiesta era un’occasione per valutare – da parte sua – il mio essere fuori dal mondo, vecchia e obsoleta e specialmente diversa da lei. Il suo modo di scegliere gli abiti, le litigate nei camerini durante lo shopping cui non ero proprio abituata. Mi viene da sorridere ora a pensare al suo processo di individuazione-separazione… da me… unite com’eravamo non me lo sarei aspettata… è stata la mia prima adolescenza come madre, con dolore enorme, ne ero fiera e nello stesso tempo spaventata: il primo fidanzato, le prime bugie rispetto a dove si trovasse, la mia confusione a riguardo di una figlia nuova, direi “adottiva”, perché non la conoscevo più. E così anche Margherita, due anni dopo.

Francesco, invece, nel primo lock down 2020 aveva 16 anni. Era ben inserito nella sua classe, è riuscito quindi a ristabilire il suo mondo nel rettangolo della sua camera e da lì mandava messaggi di fumo, spariva e ricompariva quando voleva. Quel rettangolo era il suo mondo fuori dalla famiglia, all’interno del rettangolo si consumavano le sue trasgressioni, lo si sentiva parlottare. Unico modo che aveva per delimitare lo spazio tra noi e lui era essere scorbutico, ritardare a tavola, come fosse stato fuori casa. Le trasgressioni potevano essere solo queste. Era tra l’altro concesso restare in rete a oltranza, non c’erano più limiti, perché non era possibile il fuori, allora tutto era dentro. Anche gli allenamenti erano online… pazzesco!

E anche qui mi ritrovo ad essere invasa dal dolore. Io certo ho visto meno “sorci verdi” con Francesco, lo avevo fuori e nello stesso tempo sempre dentro: niente delimitazione di orario per rientrare, se non per arrivare a tavola, niente paure il sabato sera, niente risvegli nella notte per vedere se fosse rientrato, niente allenamenti per cui niente corse avanti e indietro, niente partite la domenica, niente festeggiamenti con gli amici…niente di niente, comodo per un genitore, ma amaro…

Per capire cosa abbiamo tolto ai nostri ragazzi dobbiamo avere ben chiaro cos’è questa età, che significato ha il fuori e il dentro, la famiglia, il sociale, i genitori, i fratelli, il gruppo dei pari. Quale valenza hanno questi luoghi interno ed esterno, la regola e la trasgressione . Quanto incidono sulla formazione della loro identità, quanto non avere queste delimitazioni compromette la loro crescita. Troppo, la compromette troppo! Per i nostri ragazzi, adolescenti e preadolescenti, gli opposti hanno il sapore della crescita, il colore della delimitazione dell’io e del tu, il rumore della musica sparata nelle orecchie, delle regole trasgredite col batticuore, dei genitori preoccupati per loro, della scelta di farli preoccupare o sentirsi in colpa per una bugia. Questa è la vita dei nostri ragazzi, questo lo spazio di crescita.

La famiglia a questa età viene sostituita dal gruppo dei pari. Io la chiamo “la caduta degli dei”, perché noi genitori dobbiamo cadere nel loro orizzonte e abbiamo il dovere di rialzarci. Cadiamo in basso e a volte ci cercano a volte ci distruggono. Noi capitomboliamo e, se tutto va bene ci facciamo un po’ male. È vitale, non solo necessario, vitale per i teenagers prendere le distanze da noi, cambiare l’unità di misura, mettere in discussione i principi e i pensieri e le logiche degli adulti.

Non è possibile, diversamente, crescere.

Gli adolescenti si incontrano fuori. Dappertutto, al cinema all’oratorio all’incrocio, al bar. Inventano nuovi linguaggi, un gergo condiviso da loro e incomprensibile al mondo.

Gli adolescenti ricominciano da capo, come quando sono nati, nascono più volte, ogni volta che frequentano un nuovo spazio e in ogni gruppo. La fine del primo ciclo di scuola lascia indietro il bambino e scopre l’adolescente. Nuovo gruppo e nuova scoperta, si rimette in gioco con il timore di non essere accettato e con la gioia di essere accolto. Si misurano e si ri-costruiscono. È questo ciò che è vitale per la loro crescita. E noi cosa abbiamo fatto? Abbiamo negato loro di concludere in presenza i cicli di scuola, dal ciclo della scuola primaria sono stati catapultati nella secondaria di secondo grado, in totale assenza dalla scuola, abbiamo tolto loro l’aria, li abbiamo messi dentro quando era vitale per loro restare fuori.

L’isolamento non ci permette di misurare chi siamo, non ci permette di definirci, di scoprirci . Stare in casa non permette di delimitare il bene e il male, l’orribile e il meraviglioso. Non permette di provarsi nella trasgressione, non permette di scoprirsi, di scegliere e scegliersi. Sì, perché gli adolescenti si scelgono e si amano, si lasciano e si scoprono e così definiscono la loro identità sessuale.

“Mamma, mi sono fidanzata” riecheggia ancora nella mia mente l’urlo di mia figlia in prima media… e i pianti di quando si è lasciata…

“Mamma, alla festa c’è quello che mi piace – la mia Margherita, scegliamo il vestito, le scarpe, le calze – devo essere magnifica!”.

“ Mamma, mi ha chiesto se stiamo insieme…”

Cosa abbiamo tolto ai nostri figli? Dobbiamo rendercene conto, gli abbiamo tolto due anni di vita, che forse per un ottantenne è un nonnulla, ma per un dodicenne è una parte fondamentale ed irrecuperabile.

In questo groviglio di scelte orribili da parte dei nostri governanti c’è il capitolo della DAD. La scuola dietro uno schermo.

Quale significato porta in sé la scuola, quale significato ha stare a scuola? Ma, specialmente, cosa si intende per apprendimento? Se chiediamo a un bambino o a un adolescente cosa gli piace della scuola la risposta immediata è: l’intervallo! Sì, perché l’apprendimento ha a che fare con una serie di spinte emotive ed intellettive, appartiene ad un corpuscolo di emozioni che rendono l’apprendere piacevole o spiacevole. Il sorriso dell’insegnante, la risata di un compagno, la solidarietà con l’amico di banco si inseriscono nella memoria di un ragazzo, come emozioni positive che danno la spinta a fare la fatica di apprendere, che animano la curiosità dei nostri ragazzi e li spingono a ritenere che conviene andare a scuola. Il gruppo classe, con tutte le sue dinamiche, fornisce la base per l’apprendimento dei nostri ragazzi: “a me della scuola piace educazione fisica”, mi ha detto un ragazzino di 12 anni, “a molte ragazzine non piace e dicono che hanno il ciclo per non fare ginnastica” . Eh già… probabilmente le suddette hanno difficoltà ad accettare il proprio corpo, si sentono sgraziate nel loro nuovo involucro e devono affrontare questa prova, questa esperienza, ma non ne hanno avuto bisogno durante la DAD.

La scuola è luogo di socializzazione per eccellenza e ormai le neuroscienze insegnano che l’apprendimento va di pari passo con le spinte emotive del singolo e della classe. Se il gruppo dei pari è affiatato e l’insegnante empatico ed in grado di inserirsi nelle dinamiche del gruppo come adulto che guida, il ruolo della scuola diventa fondamentale. Se i ragazzi stanno bene a scuola e vengono ascoltati riescono a portare tensioni e paure in un altro spazio che diventa familiare, che fa da filtro con la famiglia e permette a questi giovani di stare fuori dentro uno spazio che li accoglie.

Quando siamo stanchi dopo aver studiato, può capitare che un sorriso di incoraggiamento di un compagno o dell’insegnante facciano ripartire il sistema. A questo punto si riattivano una serie di funzioni: dal ritmo cardiaco al colore della pelle e tutto riparte, come dice sempre Daniela Lucangeli. I bambini e gli adolescenti funzionano così: provano un’intensa soddisfazione e sono incentivati a cercare ancora soddisfazione, anche noi adulti – in verità – funzioniamo così.

Quanto con le politiche sanitarie e con la DAD abbiamo impresso nella mente dei ragazzi la paura del contatto, quanto i nostri adolescenti sono stati indotti a nascondersi invece che svelarsi, quanto abbiamo colluso con la tendenza dei ragazzi a questa età, a rinchiudersi nella loro stanza, lontani dal mondo e quanto gli abbiamo messo nelle mani e nella mente tutti gli strumenti tecnologici che servono a stare fuori dalla relazione e glieli abbiamo concessi come unici strumenti di relazione? E proprio quegli stessi strumenti rispetto ai quali noi genitori avevamo fino al giorno prima combattuto, perché ci fosse un tempo delimitato per usarli.

E i ragazzi con problemi di apprendimento come la dislessia o problemi di attenzione? Cosa è successo loro con la DAD? Qualcuno se l’è chiesto? Con la DAD hanno sperimentato situazioni di grande inadeguatezza. L’apprendimento tramite schermo limita le capacità di attenzione. L’apprendimento, spogliato della presenza e relegato talvolta ad una sola voce dietro lo schermo, è risultato gravoso per tutti i ragazzi, ma specialmente per i ragazzi con problemi di apprendimento. “Non riuscivo a seguire le lezioni di matematica, ad un certo punto mi sono rassegnata e non ho più seguito”, “ora sono indietro di due anni.” Ogni attività cognitiva corrisponde ad un tracciato emozionale, il nostro cervello mentre pensa sente, spiega la dottoressa Lucangeli. E ancora: le emozioni sono variazioni di flusso, sono corrente neuro-elettrica che lascia una traccia, praticamente l’emozione scrive nella nostra memoria.

Generalmente, mentre apprendiamo una lezione mettiamo in memoria sia la lezione sia le emozioni che ci accompagnano. Se sento un senso di inadeguatezza quella sarà l’emozione che mi renderà ostico l’apprendimento, perché tendenzialmente il nostro cervello è programmato per evitare ciò che crea dolore. Se apprendere mi crea dolore, il rischio è che in modo istintivo deciderò che è meglio non apprendere.

Così ora, chissà perché, ci troviamo di fronte ad un aumento del tasso di abbandono scolastico. Questi ragazzini, inoltre, che nello sport magari avevano le loro soddisfazioni, hanno smesso di muoversi, sono cresciuti e sono cambiati, alcuni sono ingrassati, non si riconoscono più e non hanno soddisfazioni né scolastiche né extra scolastiche. Molti di loro si sono rinchiusi in casa, non sono più a loro agio nel mondo, non riescono a ritrovarsi, a ritrovare la strada. Sono stati traditi dagli adulti e sono stati bloccati nell’atto del loro germogliare. Molti di loro non sanno neppure cosa chiedere: “Ero una nuotatrice, vivevo tra piscina, scuola e amici, da quando mi sono fermata ho preso peso e mi vergogno di farmi rivedere, non ho la forza di perdere peso e non ho la forza di riprendermi a scuola, mi vergogno…”. Nella mia mente riecheggia una certezza e quindi un nuovo dolore: i ragazzi più fragili sicuramente con la DAD hanno sperimentato uno stato mentale di sofferenza che ha a che fare con il meccanismo dell’impotenza appresa. Mentre imparano un concetto ne sperimentano la sofferenza, sperimentano che quel concetto fa male. Ciò produce una grave conseguenza, che quello studente smetta di imparare visto che lo riconduce alla sua incapacità. Il senso di fallimento porta alla vergogna e quindi alla sensazione di confusione e di smarrimento, perché la vergogna è un’emozione da cui non possiamo fuggire, la colpa possiamo ripararla, la vergogna no. Vergogna e senso di colpa interferiscono negativamente con i circuiti dell’apprendimento.

Nella pretesa di difendere i “fragili” abbiamo creato nuove fragilità, abbiamo lacerato le fragilità interiori.

Antonia Gaeta,

Comitato nazionale psicologi EDSU

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

■ Prima Pagina di Oggi