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Open to Meraviglia: il Magnifico Musetti dispensa perle di Bellezza al Roland Garros- di Teo Parini

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Ancora Lorenzo, ancora più Magnifico

Nonostante quanto visto ieri sera, e a tratti risultava davvero difficile credere alla veridicità delle immagini, che Lorenzo Musetti abbia demolito il numero tredici del ranking mondiale nel contesto del Roland Garros, Cameron Norrie, non conta assolutamente nulla.

Zero. Preoccuparsi di commentare una banale conta dei punti, a valle di una manifestazione artistica di una luminosità tale da rimandare la memoria alle gesta dei più geniali interpreti della disciplina del diavolo, infatti, sarebbe blasfemia, un insulto alla bellezza e alla sua Dea.

Pertanto, qualunque paragone vi venisse in mente di scomodare non può risultare in nessun modo eccessivo: Musetti ha per le mani un tennis epocale.
È italiano, tutto nostro, con i pregi e i difetti, ammesso lo siano, della nostra terra e della nostra gente, e chi non è orgoglioso di questo ragazzo si merita altri vent’anni – e venti Slam – di Djokovic. Slam che, per inciso, Lorenzo il Magnifico non è detto vincerà mai, ma anche questo dettaglio da almanacco è piuttosto insignificante. Perché amare il tennis, a differenza di essere tifoso di qualcuno che si spera sollevi un trofeo, significa godere della bellezza che attraverso i suoi interpreti eletti riesce ancora a riservare, nonostante il tentativo spesso riuscito di fare dell’eleganza gestuale della fu pallacorda la noiosa brutalità della lotta nel fango.

Poi, però, sul pianeta Terra atterra questo ragazzo con i cromosomi intagliati nella fantasia e, in un amen, anni interminabili di corri-e-tira, tennisti con le mani sensibili come il granito e orripilanti visioni dal pathos alla stregua di una partita di dama, lasciano spazio al caleidoscopio musettiano e, così, parlare di tennis torna ad essere un privilegio e noi aficionados dei privilegiati. Che avesse trasformato un buon giocatore come Shevchenko in un alunno alla prima lezione al cesto, se proprio volessimo parlare di numeri, poteva anche essere messo in preventivo. Ma che la stessa sorte potesse toccare anche a un giocatore vero, anzi verissimo, come Norrie, francamente era meno plausibile. Invece, il britannico è finito ai matti, senza capirci nulla dello tsunami che lo ha investito per due ore, rendendo evidente un concetto che è più che altro una benedizione: il tennis fatto di mille cose, con questi attrezzi democratici e con queste superfici omologate non sarà la peculiarità più consona sulla via del successo ma, in momenti estremamente selezionati, sposta ancora l’asticella del gioco su livelli inesplorati. Mezzo Federer e mezzo Kuerten, parafrasando Wilander, è l’accostamento minimo che può essergli fatto. Questo diavolo di un Lorenzo è ricavato davvero da questa pasta.

E sempre a proposito di privilegio, il suo prossimo avversario in Bois de Boulogne sarà Alcaraz, la cometa di Halley del tennis. Quello che riserverà l’ottavo di finale parigino dello spicchio di tabellone popolato, appunto, da Musetti rischia di essere ciò che, detto a beneficio dei calciofili, avrebbe potuto costituire un’ipotetica sfida tra il Milan di Sacchi e l’Olanda di Cruijff: per distacco il meglio che c’è in circolazione. E se sono in molti gli aridi di cuore a maledire la presunta sfiga che, salvo sorprese, porterà Lorenzo a doversi misurare con il satanasso spagnolo, uno che in quanto ad armamentario tennistico da del tu a Goldrake, i cultori del bello, al contrario, plaudono quasi increduli alla regia della buona sorte capace di scrivere un copione da Oscar.

Musetti è Musetti fin dalla culla perché ha doti che non si possono costruire. Quello che sembra essere leggermente cambiato, comunque la sconfitta non piace a nessuno e ancora meno ai diretti interessati, è l’aggiunta all’inesausto bagaglio in dotazione di quel pizzico di pragmatismo che, senza mai offuscare il narcisismo tennistico che lo rende inimitabile e si spera lo possa accompagnare fino all’ultimo quindici della carriera, gli consente di mettersi su un petto già ricco di medaglie anche quella del tennista vincente. Per fare un esempio, il terzo set con Norrie avrebbe potuto prendere una brutta piega e fino a qualche tempo fa l’avrebbe senz’altro presa. Non ieri. Avanti due set e un break, quindi con la fiamma rossa dell’ultimo chilometro già sorpassata, un piccolo calo di concentrazione, infatti, ha rimesso in partita un avversario abituato a non regalare mai nulla. Acciuffato nel punteggio e in calo di inerzia favorevole, Musetti si è però reso sparagnino il giusto per far valere la differenza di lignaggio evitando che Norrie, che resta pur sempre in grande giocatore, iniziasse a credere di poter rientrare in una partita immediatamente rimessa d’autorità in ghiaccio.

La dipartita sportiva di Federer, quelle imminenti di Murray e Wawrinka e la latitanza di quel maledetto di Kyrgios, sono evenienze difficili da digerire per chi ostinatamente rigetta il connubio tennis-noia. Già successe con McEnroe di pensare che tutto fosse irrimediabilmente perduto e, invece, arrivarono in premio Edberg e la sua volée di rovescio e Becker il funambolo. Oppure, ed è storia recente, successe con Sampras e non serve ricordare che ci pensò proprio Federer a salvare baracca e burattini. Oggi, il prestigioso compito storico di dare continuità al casato dei grandi esponenti della nobiltà tennistica non grava solo sulle spalle di Alcaraz, che è pure garanzia di trionfi, ma anche di Lorenzo, al quale si chiede con il cappello in mano soltanto una cosa: di continuare a fare il Musetti. Senza snaturarsi di una virgola perché l’UNESCO, se solo si occupasse di tennis, lo avrebbe già incluso nel suo intoccabile patrimonio.

Teo Parini

Questo articolo fa parte dell'archivio di Ticino Notizie e potrebbe risultare obsoleto.

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