Omicidio Ravasio, il gip respinge la scarcerazione della figlia della “mantide” di Parabiago. Le accuse in aula: “Cercava un killer tra i rom a Magenta”

Prosegue il processo ad Adilma, Marcello Trifone e agli altri imputati

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Custodia cautelare in carcere confermata per Ariane Pereira Bezzerra da Silva, 31 anni, figlia di Adilma Pereira Carneiro, la cosiddetta “mantide di Parabiago”. Secondo quanto riportato da Il Giorno, il gip Stefano Colombo ha respinto l’istanza di scarcerazione presentata dalla difesa, confermando la misura cautelare a carico della giovane, fermata a fine luglio con l’accusa di aver avuto un ruolo nel piano per uccidere Fabio Ravasio, il 52enne travolto e ucciso da un’auto il 9 agosto 2024 a Parabiago.

Davanti al giudice Ariane aveva ribadito di «non avere alcuna responsabilità» nella vicenda che vede a processo davanti alla Corte d’Assise di Busto Arsizio la madre Adilma, il fratello Igor Benedito, il compagno Fabio Lavezzo, l’ex amante della madre Massimo Ferretti e altre quattro persone, tutte accusate a vario titolo di aver preso parte al delitto. Il legale della ragazza, l’avvocato Edoardo Lorenzo Rossi, aveva parlato di «una misura cautelare anomala e atipica», sostenendo che non vi siano elementi nuovi rispetto alle indagini già depositate.

A pesare sulla posizione della trentunenne sono state le dichiarazioni in aula di Massimo Ferretti, barista ed ex amante di Adilma, che ha indicato la figlia come parte attiva nella fase preparatoria del delitto: «Ariane disse di cercare il killer tra gli zingari del campo di Magenta».
Una frase che ha scatenato la reazione furiosa della ragazza, presente tra il pubblico, al punto da insultare Ferretti e venire allontanata dall’aula.

Ferretti ha inoltre chiamato in causa Fabio Lavezzo, compagno di Ariane, accusandolo di aver preso parte a una riunione a casa di Adilma il giorno prima dell’omicidio e di essersi adoperato, insieme agli altri, per trovare qualcuno disposto a compiere l’agguato. Versione smentita sia da Lavezzo, che ha dichiarato di aver saputo del piano solo il giorno del delitto, sia dal figlio minore di Adilma, ascoltato in modalità protetta. Il ragazzo ha raccontato che fu proprio Ferretti, nel bar che frequentava, a parlare della necessità di trovare «un tossico o un marocchino» per uccidere Ravasio.

Un quadro confuso e pieno di accuse reciproche, in cui ognuno tenta di scaricare sugli altri la responsabilità di un omicidio che resta al centro di un processo intricato, fatto di gelosie, ossessioni, presunti riti magici e interessi economici.

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