MILANO – Domani pomeriggio alle 18 con Diretta su Sky si aprirà ufficialmente la stagione 2020/2021 del campionato di calcio di Serie A. La partita di debutto vedrà Fiorentina contro Torino si disputerà al ‘Franchi’ di Firenze che, come noto, sarà rigorosamente sbarrato ai tifosi per le normative anti Covid. Chi scrive nonostante, non sia ancora un “matusa”, ha in tasca la tessera dell’Inter dal lontano 1988 e poi senza sosta dalla stagione 1992/93 con un’unica destinazione: secondo anello verde.
Di anni ne sono passati davvero tanti, indescrivibili le emozioni provate su quei gradoni, le gioie e le delusioni altrettante, spesso cocenti. Ma sempre con la consapevolezza che ci sarebbe stata un’altra partita, un’altra opportunità, un’altra occasione di rivincita.
Settembre per tradizione, salvo poi le modifiche forzate introdotte dal ‘calcio moderno, con le anticipazioni in clima semibalnerare ferragostano, è sempre stato simbolicamente il mese della ripartenza per milioni di appassionati di calcio.
Come da ragazzini attendevano il rintocco della prima campanella, così aspettavano il ritorno dei nostri beniamini sul terreno di gioco. Per chi ha vissuto gli anni Ottanta, calcio significava un po’ tutto: dal diario, all’immancabile album delle figurine panini, fino appunto al rito domenicale della partita. Che volendo e rischiando la blasfemia, per molti incorreggibili romantici, aveva un che di sacrale. Dai fumogeni, alle bandiere, agli stendardi, finanche, ad alcuni riti pre partita immancabili, vedasi l’acquisto della scorta di Amaro Borghetti soprattutto nelle giornate di freddo, per esempio.
Quello che descriviamo con evidente partecipazione è un calcio già un po’ retro, visto che da anni con il dominio delle televisioni e lo spacchettamento del calendario tra il venerdì (in alcuni casi) fino al lunedì sera, tutto questo contesto è stato costretto a cambiare profondamente.
Poi è arrivato il Coronavirus, è questa maledetta pandemia ha finito per essere – volendola vedere in un certo modo – quasi il tassello mancante (e chissà forse definitivo) a chi pensava a stadi come teatri o, più ancora, ad un calcio modello playstation con i tifosi costretti ad accomodarsi sul proprio sofà di casa. Tutto più comodo e senza problemi di gestione.
Dunque, quello che inizia domani è un campionato che passerà alla storia come il primo campionato senza pubblico – almeno per ora ma con l’arrivo della stagione autunnale invernale è ragionevole pensare che sarà sempre peggio – nonostante le ipotesi, finora per la verità assai fantasiose, teorizzate rispetto al ritorno allo stadio in tempi brevi. Porzioni di stadio contigentate, pubblico scelto col bussolotto (?), per non parlare di chi ha pensato di distribuire ai tifosi anche delle simpatiche visiere tipo palombaro. Delle autentiche puttanate, scusateci il francesismo.
Anche quelle un po’ più serie, restano comunque difficilmente praticabili, specie per i grandi club che contano su migliaia di abbonati. Indubbiamente la difficoltà organizzativa nel gestire contemporaneamente grosse masse di pubblico – pensiamo che l’Inter nella stagione appena conclusasi fino al periodo delle porte chiuse per Covid aveva una media pubblico abbondantemente sopra alle 60 mila unità… – è un dato oggettivo.
Ma ci domandiamo che calcio potrà mai essere senza spettatori. Abbiamo già assistito all’ultimo spicchio di campionato in queste condizioni, una ripartenza che è stata voluta, più che altro per incassare i diritti TV che molto incidono sui bilanci delle società.
Uno spettacolo davvero desolante anche per chi ha sempre preferito il divano del proprio salotto allo stadio con la noia e il sonno che spesso prendevano il sopravvento nonostante l’impegno dei commentatori a tener desta l’attenzione.
Il calcio ma questo vale anche per altri sport pensiamo per esempio alla Pallacanestro, è qualcosa che travalica i confini del rettangolo di gioco. Spesso c’è in gioco il prestigio cittadino, antiche rivalità tra città storicamente nemiche anche sul piano politico, per non parlare del derby, dove la divisione, nella storia cittadina, talvolta, significava anche una distinzione sociale netta, non a caso gli Interisti borghesi a Milano sono detti i “Bauscia” e i cugini proletari del Milan i “Casciavitt”.
Ci rendiamo conto che sono tratti, per nulla secondari a giudizio di scrive, ma che per molti dei cosiddetti millennials potrebbero essere del tutto irrilevanti se non sconosciuti.
Ma la bellezza del calcio è questa. A questo proposito, per chi lo volesse, vi invitiamo a vedere le bellissime storie raccontate da Sky Sport 24 su Sheffield, la culla del calcio, dove nel lontanissimo 1858, è nata la prima squadra al mondo. Guardatelo con l’accompagnamento del grande Paolino Di Canio e di Federico Buffa e capirete che dietro a ventidue giocatori che rincorrono un pallone c’è molto di più.
Questa è l’essenza del calcio e personalmente, siamo convinti che se non si troverà il modo di far tornare la gente allo stadio, questo ‘prodotto’, perderà progressivamente di valore e di interesse anche a livello televisivo. Con ricadute commerciali pesanti sulle stesse TV a pagamento che negli ultimi anni hanno dettato legge. Non spegniamo i riflettori sullo spettacolo più bello del mondo. Non trasformiamolo in un video game….
F.V.