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Nel gelo di Washington inizia il viaggio verso il Mondiale 2026

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di Stefano Scibilia

WASHINGTON (STATI UNITI) (ITALPRESS) – La mattina del 5 dicembre, la capitale americana si è svegliata avvolta dalla neve: meno tre gradi taglienti, un’aria così pungente da sembrare una lama sottile sulla pelle. Eppure, vicino al Kennedy Center, quel freddo non bastava a spegnere un calore più profondo, un fremito collettivo che attraversava delegazioni, giornalisti, calciatori e curiosi. Era il preludio del sorteggio finale della Coppa del Mondo 2026, l’evento che ufficialmente spalanca il sipario sul viaggio che accompagnerà Stati Uniti, Messico e Canada verso il Mondiale più grande di sempre. Già davanti all’ingresso, mentre le delegazioni scorrevano sul tappeto rosso come un fiume di colori, lingue e storie, si respirava qualcosa di più di una cerimonia: si percepiva l’inizio di un cammino mondiale che avrebbe intrecciato continenti, memorie e ambizioni. All’interno del Kennedy Center la teca della Coppa del Mondo dominava la scena come una reliquia sospesa nel tempo, circondata da un’aura quasi mistica. Quel trofeo dorato sembrava trattenere il respiro di chi lo aveva sfiorato e i ricordi incisi da decenni: i gol urlati al cielo, le lacrime di chi ha fallito, le cadute e le resurrezioni, la gloria e la ferita di chi ha provato ad arrivare in cima.

Ogni sguardo rivolto alla Coppa era un ritorno alle proprie notti di calcio, a un’estate di partite viste con il cuore sospeso. Era come se contenesse non solo la storia del calcio, ma quella di tutti coloro che, nel calcio, hanno trovato un frammento della propria vita. A dare voce a tutto questo, il presidente della Fifa Gianni Infantino. Le sue parole, pronunciate nei primi minuti della cerimonia, non erano solo un’introduzione: erano un manifesto. Ha ricordato che quello del 2026 sarà “il Mondiale più grande di sempre”: 48 squadre, tre Paesi ospitanti, una dimensione destinata a segnare un’epoca. Quelle frasi, dette con orgoglio e un’emozione trattenuta, sembravano rimbalzare tra i corridoi come un presagio, mentre un filo d’aria gelida entrava ancora dalle porte. Sul tappeto rosso, a fare gli onori di casa, c’era Eli Manning. La leggenda del football americano, con il suo sorriso cordiale, offriva agli ospiti una sensazione di familiarità in grado di annullare distanze e formalità. Dentro, il Kennedy Center appariva trasformato: non più tempio della musica classica, ma uno spazio che vibrava di energia contemporanea, tra luci dinamiche, scenografie digitali e un brusio in decine di lingue diverse. Sul palco, a guidare la serata, due figure simboliche del calcio globale: Rio Ferdinand, icona della difesa inglese e del Manchester United, e la giocatrice Samantha Johnson.

Tra il pubblico, a condividere l’evento con tifosi e delegazioni, erano presenti anche grandi icone dello sport americano: Tom Brady, leggenda del football; Wayne Gretzky, simbolo eterno dell’hockey su ghiaccio; Aaron Judge, stella del baseball; e Shaquille O’Neal, gigante del basket. La loro presenza ha sottolineato il legame tra diverse discipline sportive e il fascino universale del calcio, capace di richiamare campioni di ogni campo verso un unico palcoscenico globale. In prima fila, le istituzioni non passavano inosservate: il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il primo ministro canadese Mark Carney e la presidente del Messico Claudia Sheinbaum. Insieme, rappresentano la dimensione politica di un Mondiale che non sarà solo sport, ma un ponte simbolico tra popoli e visioni diverse. Trump è salito sul palco per ricevere il premio per la pace inaugurale della Fifa e, accanto a Carney e Sheinbaum, ha partecipato all’estrazione cerimoniale che ha segnato l’avvio ufficiale del cammino verso il 2026.

La cerimonia si è aperta con la voce senza tempo di Andrea Bocelli. Le note di “Nessun dorma”, limpide e potenti, hanno attraversato il Kennedy Center come una corrente emotiva in grado di riscrivere il silenzio della sala. Era un momento sospeso, quasi sacro: la musica trasformava il sorteggio in una liturgia, un rito collettivo che univa passione sportiva e poesia. Poi Robbie Williams, con la sua intensità scenica e la fragilità che da sempre lo rende unico, ha regalato una performance magnetica. E quando Nicole Scherzinger lo ha raggiunto sul palco, la sala ha avuto la sensazione di assistere a un incontro raro, un istante irripetibile in cui due voci si intrecciano creando qualcosa di più grande della somma delle parti. Quella del 5 dicembre non è stata solo una mattina gelida a Washington, ma il primo passo concreto verso il Mondiale del 2026. Un viaggio sensoriale in cui la Coppa evocava ricordi immortali, la musica dava forma alle emozioni e le parole di Infantino aprivano le porte a un torneo che vuole essere monumentale. Il Kennedy Center è diventato per un giorno il cuore pulsante del mondo, un luogo in cui istituzioni, artisti, campioni e tifosi hanno condiviso la consapevolezza che il calcio, nella sua essenza più profonda, non è mai solo un gioco: è un racconto universale che continua a scriversi, capace di superare il gelo, il tempo e i confini. È da qui che il cammino verso la Coppa del Mondo è ufficialmente iniziato.

– foto IPA Agency –

(ITALPRESS).

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