Per gli antichi greci il pegno da “pagare” per entrare nel ricordo era aver lasciato un segno, per questo i Greci chiamavano la tomba «segno», unico baluardo capace di pietrificare colei che pietrifica la linfa della vita. Ma i Greci andarono oltre ed inventarono la “poesia” degli eroi.
Le parole, uniche vere segni che non si sbriciolanp: chi entra nel canto per le sue gesta sul campo sarà ricordato per sempre. Così fu per Achille che preferì morire giovane ma ricordato piuttosto che vecchio e dimenticato. Il giovane eroe nel gesto estetico riscattava l’orrore della fine prematura, per questo un grande poeta osò dire che muore “giovane chi è caro agli dei”.
Era preferibile dare la vita sul campo ed entrare nella memoria sociale, contribuendo all’unità culturale del gruppo piuttosto che scivolare nel silenzio dei senza nome.
Tutte le morti di giovani ci costringono a ripartire da zero. È morto Antonio Megalizzi, 29 anni giornalista, radio, televisione, il suo lavoro era una specie di “canto epico” in prosa, sempre sorridente nelle foto e così simile a tanti nostri figli, sul campo di lavoro e poteva essere un qualsiasi lavoro comune.
La lingua italiana non ha una parola per chi perde un figlio, non esiste nel vocabolario.
Ci sono situazioni in cui ci mancano le parole. Come si chiama un genitore a cui è morto un figlio? In italiano non si chiama in nessun modo: in italiano questa cosa non si dice.
In ogni lingua ci sono cose che non si devono dire. O che è meglio — sarebbe meglio — non nominare, come la perdita di un figlio. Per un padre, per una madre equivale a fissare l’abisso, ad evocare un immenso di dolore. Quello del Pianto antico di Carducci, che in Ungaretti diventava un’esplosione: ”E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!”
So che però Antonio è morto senza accorgersene, in una meravigliosa cittadina, in un tipico e festivo mercatino natalizio, comprava forse regali per amici e parenti. Era felice e sereno, alle porte il Santo Natale. Questo non lenisce il dolore di chi rimane ma lui era felice. Inevitabilmente c’è tra le righe del racconto, la poesia della vita.
Laura Giulia D’Orso